Bergamo, allarme medici di base
A decine andranno in pensione

Marinoni: «Rimasti in servizio contro il Covid, ma ora opteranno per la quiescenza visto che l’emergenza è attenuata. Mancano i sostituti».

In questi tre mesi Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, ha passato intere giornate al telefono con i suoi colleghi. «Mi hanno confidato dubbi e paure, soprattutto all’inizio, quando i medici di famiglia manco avevano i guanti e le mascherine – racconta -. 29 morti, tra cui 6 medici di base, e 150 malati tra i camici bianchi, e quasi tutti i decessi all’inizio, proprio perché non erano disponibili i dispositivi di protezione personale e perché scarseggiavano pure le indicazioni». Però, aggiunge orgoglioso, nessuno ha mollato. «Anzi – fa notare -, molti medici di medicina generale che potevano andare in pensione mi hanno annunciato che avevano deciso di posticipare per essere disponibili durante l’epidemia». Il nodo, però, potrebbe venire al pettine nei prossimi mesi. «Temo che, superato il culmine dell’emergenza, ora in tanti opteranno per la pensione». Tanti quanti? «Parecchie decine, forse ci avviciniamo al centinaio», calcola Marinoni, cifra non trascurabile in rapporto ai 600 medici di base della Bergamasca. «E i sostituti non ci sono ancora», sospira il presidente dell’Ordine.

Le soluzioni che si prospettano sono a questo punto due. «Si cercheranno medici precari cui affidare un incarico temporaneo, anche se sono privi dei requisiti – spiega Marinoni -. Ma credo che non sarà facile trovare nemmeno precari, perché aumentano i posti nelle specializzazioni e sempre più “camici grigi” scelgono di entrare in specialità. In più, il grosso di chi sta partecipando al corso per la formazione di medici di medicina generale sarà pronto tra due anni. In autunno per Bergamo ne saranno disponibili solo una quindicina». Pochi, soprattutto se si ipotizza cosa potrebbe accadere negli ambulatori da ottobre in poi quando, nel timore che sia coronavirus, chiunque accusi anche flebili sintomi della più banale influenza si precipiterà a chiedere consulto al proprio dottore.

E così, ecco farsi avanti la soluzione 2. «Forse si dovrà arrivare – prospetta Marinoni – all’aumento di assistiti in carico a ciascun medico. Ora la media è di 1.500 pazienti a testa, si potrebbe anche arrivare a 2.000, ma il lavoro andrebbe supportato con infermieri e personale amministrativo. Per queste figure è previsto un finanziamento parziale, ma l’iter burocratico è complicato e molti medici non se la sentono di anticipare i costi col rischio di non essere in grado di accedere alla contribuzione economica. Risultato: in Bergamasca quasi la metà dei medici lavora da sola, senza neppure il supporto di una segretaria».

Ci sarebbe l’infermiere di famiglia, introdotto da una recente delibera della Giunta regionale: 8 ogni 50 mila abitanti. «Speriamo non vengano sprecati a imbrattare tastiere – sibila Marinoni -. Sono una risorsa importante perché altamente specializzati, tant’è che hanno la laurea magistrale, e a noi medici piacerebbe lavorare a stretto contatto con loro. Insomma, non vorremmo che finissero in qualche remoto ufficio».

Anche perché la medicina del territorio, l’estate scorsa intempestivamente liquidata da qualche politico come un orpello sanitario, è tornata prepotentemente in auge dopo che ci si è accorti di come avrebbe potuto - se i medici di famiglia fossero stati dotati degli strumenti basilari, a cominciare da mascherine e guanti (questi ultimi tuttora di difficile reperimento) – fare da filtro agli ospedali che hanno finito invece per essere congestionati. «In qualsiasi Paese del mondo il sistema sanitario funziona se funzionano le cure primarie – chiosa il presidente dell’Ordine -. Ma in Italia, prima che si intervenga, deve sempre scapparci il morto».

Ora la Regione vorrebbe i medici di famiglia sentinelle del territorio, per monitorare i contagi e individuare eventuali focolai. «Un ruolo che è fondamentale e che è mancato all’inizio dell’epidemia – analizza Marinoni -. Compito che per un medico di base non è proibitivo. Si tratta di inserire i dati di pazienti con sospetti sintomi Covid nella piattaforma informatizzata del sistema sanitario regionale. I problemi sono semmai di altri, e sono tre: il sistema informatico in cui vado a inserire la segnalazione deve funzionare senza intoppi; il Dipartimento di igiene e prevenzione delle Ats deve essere in grado di processare le pratiche con celerità; e poi i tamponi: in autunno, quando aumenteranno i casi sospetti anche per via delle influenze, non devono mancare e devono essere analizzati velocemente, altrimenti si rischia di avere in quarantena mezzo Paese. Il tampone è l’unico strumento per capire se siamo di fronte a coronavirus, perché all’inizio i sintomi del Covid-19 e di un’influenza non sono distinguibili a occhio nudo. Se in autunno non ne avremo a sufficienza, saranno di nuovo guai».

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