Caffè e pane costano di più. A Bergamo aumenti tra il 10 e il 25%

L’inflazione e il rincaro delle materie prime si fanno sentire. Listini al rialzo per bar e ristoranti. La grande distribuzione tiene.

Il carrello della spesa rischia di diventare presto più pesante. Il dato di fatto è rappresentato dalla corsa dell’inflazione, che a dicembre 2021 ha fatto registrare un 3,9% in più su base annua, trascinando con sé una serie di aumenti, che finiscono per ripercuotersi sul consumatore finale. Tira un’aria di aumenti e per rendersene conto basta girare tra le corsie di un supermercato, recarsi dal panettiere o semplicemente al bar per un caffè.

In alcuni casi, abituati a costi standard, è più facile prendere contezza dei rincari. È il caso della tazzina al bancone, con i consumatori abituati a pagare la cifra tonda di un euro, salita nella maggior parte dei locali a 1,10, ma destinata a toccare un po’ dappertutto l’euro e 20 centesimi. Un adeguamento che, come segnalato nelle scorse settimane da Ascom Confcommercio Bergamo, in molti casi non basta ancora per coprire i costi di gestione delle singole attività. Sul piatto c’è infatti da riequilibrare il costo dell’energia, letteralmente lievitato negli ultimi mesi, ma anche il rincaro delle materie prime. La conseguenza più probabile è che nei prossimi mesi un buon caffè al banco possa salire a 1,30 euro. La concorrenza fra pubblici esercizi offrirà sicuramente prezzi più vantaggiosi in alcuni locali, ma difficilmente si tornerà al vecchio caro euro a tazzina.

Oltre alle difficoltà causate da più di un anno di chiusure, i gestori devono fronteggiare un caro prezzi che rischia di diventare insostenibile. Ascom aveva sollevato proprio la questione dei rincari sui prodotti, come farina e cacao, saliti rispettivamente del 38% e del 20%, cui si somma il 4% sul prezzo d’acquisto del latte, per non parlare della materia prima indispensabile come appunto il caffè, che registra aumenti di almeno il 10%. Anche sul fronte dei panifici, Aspan ha annunciato prima di Natale un aumento nell’ordine del 20/25% sul prezzo del pane e dei suoi derivati. Nel comparto preoccupa in particolar modo l’aumento esponenziale dei costi energetici, necessari per alimentare i forni dove vengono cotte michette e sfilatini. Occorre poi tener conto anche del prezzo del grano, anch’esso lievitato, nel vero senso della parola, a causa di speculazioni che riguardano più in generale il mercato mondiale. Fino a dicembre gli imprenditori hanno cercato di limitare gli aumenti, diminuendo il margine operativo, ma con l’inizio del 2022 non hanno altra scelta, se non quella di scaricare parte dei maggior costi sul consumatore finale.

Non va meglio nel settore della somministrazione. Secondo una ricerca della Fipe, la Federazione italiana che raggruppa i pubblici esercizi, il 76% degli imprenditori intervistati, che gestiscono bar e ristoranti, hanno dichiarato che adegueranno presto i listini al rialzo, proprio per far fronte agli aumenti subiti a loro volta dai fornitori. Nove imprenditori su dieci lamentano inoltre un rincaro importante nei prezzi delle materie prime, in particolare su prodotti ittici, frutta, carni e ortaggi.

La grande distribuzione organizzata tiene sinora sostanzialmente duro e ha invece scelto di limitare al massimo gli aumenti, riducendo il margine sui prodotti in vendita. In base agli ultimi dati forniti, il carrello della spesa si è appesantito di pochi punti percentuali, con succhi di frutta, surgelati e insaccati che fanno registrare un 2% in più, mentre uova, latte, carne, pesce, frutta e verdura salgono del 3,6% . Federdistribuzione, che raggruppa i supermercati, sottolinea come «le aziende abbiano messo in campo diversi strumenti per mitigare l’inflazione. Misure che alla lunga rischiano di servire a poco, soprattutto a fronte dell’aumento continuo dei costi delle materie prime a livello internazionale, che saranno difficilmente gestibili senza una strategia condivisa a livello di filiera e di concerto con le istituzioni». La speranza è che nel corso del 2022 si assista ad una mitigazione degli effetti causati dall’inflazione che, inevitabilmente a parità di stipendi, stanno erodendo il potere d’acquisto delle famiglie.

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