Coronavirus, senza morti da 8 giorni
Rizzi: «Non ne escludo altri, ma non per nuovi casi»

Il direttore dell’Unità di Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: «Pazienti gravi non ne abbiamo più, i ricoverati positivi sono qui per altre patologie» . Niente liberi tutti. «A Bergamo manteniamo cautela»

Nella trincea, la guardia non si abbassa. Però si respira, perché le infinite giornate della fatica, dell’impegno massimo e del dolore sono lontane. Davvero. Numeri e sensazioni si intrecciano supportandosi a vicenda: più di una settimana senza decessi per Covid in Bergamasca, otto giorni con ieri. Nella terra maggiormente ferita dalla pandemia, è un segno di svolta. «Di casi gravi di malattia non ne abbiamo più, da qualche tempo – conferma il dottor Marco Rizzi, direttore dell’Unità di Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo –. Abbiamo ricoverato una persona un mese fa, ma con una malattia non grave. Di ricoverati positivi al virus ce ne sono ancora, ma con una precisazione: si tratta di persone che vengono ricoverate per altre patologie, ma contemporaneamente vengono sottoposte al tampone per accertare la presenza o meno del virus e risultano positive. Abbiamo poi ancora alcune persone che sono in lunga degenza da marzo o aprile, ma casi gravi e recenti non ce ne sono». La conseguenza si riflette nei numeri circolati nei giorni scorsi: «In questo scenario – aggiunge Rizzi –, i decessi sono diventati del tutto occasionali. Sono la coda dell’epidemia. Qualcuno appunto non è ancora uscito dalla malattia, e qualcuno ha una situazione relativamente delicata: dunque non si può escludere che non si avranno più decessi. I decessi, però, verosimilmente non saranno sui nuovi casi».

Per «nuovi casi», appunto, che continuano a registrarsi mentre la curva dei decessi si flette sempre più, si intendono soprattutto profili ben precisi: «Le nuove positività arrivano prevalentemente da chi esegue il tampone dopo un test sierologico con risultato positivo o contemporaneamente al sierologico, oppure da persone che si devono sottoporre a terapia immunosoppressiva o a chemioterapia, tutte circostanze in cui si deve fare il tampone. La distinzione va fatta tra infetti, cioè persone che hanno contratto il virus, e malati, cioè chi manifesta le conseguenze cliniche – precisa Rizzi –. I tamponi dei positivi oggi ci dicono che le tracce del virus certo ci sono, perché l’Rna virale è presente; in molti casi però il virus non è replicante e non è infettante, ma questo il tampone non ce lo dice. Quel che è certo è che in queste settimane i casi di malattia sono stati sporadici, e i decessi sono stati i decessi di vecchi casi non riusciti a guarire».

La panoramica dei numeri, però, non deve indurre al «liberi tutti». «Se nelle altre parti d’Italia, per quanto si vede e per quanto mi raccontano, il livello di attenzione alle misure di precauzione è diventato bassissimo – rileva il primario -, a Bergamo c’è ancora una discreta cautela. Chiaramente non è la situazione di due mesi fa: le persone si muovono, vanno al bar, vanno al ristorante; però le mascherine nei luoghi chiusi si continua a usarle, anche se qualcuno tende a dimenticarle o a indossarle in maniera scorretta». Sugli scenari futuri, Rizzi non si sbilancia: «Di scommesse non ne farei. Vediamo quello che succede, a partire da eventuali effetti delle vacanze. Il panorama globale, anche attorno all’Italia, da alcune zone della Spagna al Belgio, ha segnali non confortanti. Io però credo che nella Bergamasca si possa ragionevolmente avere una tranquillità». «Di questa emergenza – aggiunge Rizzi in conclusione –, ci dovremmo portare dietro alcune buone abitudini, a partire dall’igienizzazione delle mani, dalle cautele nei rapporti. Al di là di alcune misure fastidiose, penso alle limitazioni nei mezzi di trasporto pubblici, ci sono delle lezioni che restano utili. Per questo virus e per possibili altre malattie».

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