Covid, salvato a Lipsia
Ora Felice Perani torna a casa

Ricoverato il 17 marzo, dimesso oggi, 13 giugno: la forza di Felice sovverte anche la cabala. Perani, 57 anni di Casnigo, ce l’ha fatta e sabato pomeriggio lascerà la Casa degli Angeli di Mozzo dove era giunto per la fase di riabilitazione il 3 giugno.

La scelta, che si è rivelata vincente, di fargli proseguire a Lipsia in Germania l’estenuante battaglia contro il coronavirus, il passaggio a Bennewitz e il tanto agognato ritorno a Bergamo per un percorso nel quale, più volte, la sua vita è rimasta appesa ad un filo. Tra dramma e speranza, è emersa la forza di un uomo caparbio che ha avuto la forza di risalire aggrappandosi alla sua condotta di vita da sportivo vero, così come agli affetti più cari – pur a centinaia di chilometri di distanza – e a quelle persone a cui è entrato subito nel cuore in terra tedesca.

«Stavo uscendo dal coma farmacologico – dice Felice -, il primo pensiero è stato che mi avessero rapito. Mi sono trovato attaccato alle macchine, attorniato da persone sconosciute avvolte da cima a piedi e che parlavano una lingua straniera. Un impatto devastante nel quale non ho avuto neppure il tempo d’accorgermi della gravità della situazione. Inizialmente i parenti hanno mandato alcune fotografie per scongiurare il rischio di danni cerebrali più o meno permanenti. Se ora posso raccontare la mia odissea lo devo anche al professor Ezio Bonanomi (responsabile dell’Unità di Anestesia e Rianimazione pediatrica del Papa Giovanni di Bergamo, ndr) che ha deciso di farmi trasportare a Lipsia, cosi come un ringraziamento speciale va a Michela Macalli, Elena Piantoni e Margherita Lanfranchi che sono state fondamentali nel gestire questo periodo, sia nella mia Casnigo che nella relazione con medici ed infermieri», perché è stato proprio per merito dell’abnegazione di tante persone che Perani ha trovato una spinta in più per puntellare un’indomabile forza di volontà che, naturalmente, ha vacillato in diverse occasioni. Ma che, sotto il profilo mentale, è stata un tassello in più nel mosaico di speranza:

«Spesso – sottolinea - mi assalivano la solitudine e la malinconia, l’impossibilità di avere un conforto dai propri cari e di poter stringere qualche mano o incrociare uno sguardo pesava come un macigno. Ho pianto, ho pregato e nelle chiamate in skype con i parenti in Valle Seriana provavo a sdrammatizzare. Con il personale delle strutture si è creata una splendida empatia che ha ridotto la nostalgia e la negatività del momento. Ero sorvegliato a vista, con tanta premura. Per due giorni un infermiere mi ha portato la pizza, in altre circostanze faceva cucinare la pasta a casa e me la faceva avere: piccoli gesti che non scorderò mai. Quando sono stato dimesso piangevano per la commozione. Solo in quel frangente mi hanno detto che ero stato l’unico sopravvissuto».

Un’esperienza indelebile che ha cambiato la vita al professore dell’Isiss di Gazzaniga, amato ed apprezzato nella sua terra, che adesso può tirare un lungo sospiro di sollievo e che, adesso, si prepara a riabbracciarlo: «Vivrò ogni situazione in maniera diversa – ammette -, non sarò più lo stesso perché il Covid lascia segni che nulla e nessuno potrà mai cancellare. Il mio pensiero va anche a chi non ce l’ha fatta e ai parenti, perché ho provato sulla mia pelle cosa si prova quando si è isolati dal mondo, nel dolore più lacerante. Il rischio è che, una volta alle spalle l’incubo, non si possa più tornare alla normalità. Eppure, quando il male attacca, il supporto dei medicinali affiancato ad uno stile di vita sano deve essere la via giusta». E se lo dice un guerriero che ha sovvertito pure la cabala, bisogna assolutamente far tesoro della lezione.

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