Dal reddito di cittadinanza al lavoro
Solo 47 nuove assunzioni a Bergamo

Sono 130 i beneficiari che attendono una risposta dalle aziende. Altri 53 hanno rifiutato una proposta, 285 i candidati risultati non idonei.

Il reddito di cittadinanza non ingrana, in tutta Italia e anche in provincia di Bergamo. L’epidemia di coronavirus che ha bloccato il Paese per tre lunghi mesi ha portato alla luce tutti i limiti dell’ambiziosa misura voluta dal Movimento 5 Stelle, pensata per combattere la povertà e favorire le politiche attive del lavoro. Finora è stato centrato solo il primo obiettivo, non il secondo.

Il «patto per il lavoro», che tutti i beneficiari sono obbligati a sottoscrivere, non ha portato a firmare un numero soddisfacente di contratti con le aziende del territorio. In tutta la provincia di Bergamo le assunzioni formalizzate negli ultimi mesi sono 47, mentre 130 sono in attesa di esito. Ad oggi, quindi, sono potenzialmente 180 i nuovi posti di lavoro creati dalla misura in Bergamasca a fronte di 3.218 «patti per il lavoro» sottoscritti. Di fronte a questi dati è naturale pensare a un fiasco. In realtà non tutto è perduto, anzi già da inizio 2020 i centri per l’impiego e i navigator hanno costruito le fondamenta per la svolta (anche quantitativa) portando 505 persone a sostenere un colloquio.

Le cause di numeri così limitati sono da cercare su più fronti. Uno dei problemi più evidenti riguarda i motivi di «non assunzione». Nel report aggiornato al 29 settembre e diffuso ieri dai centri per l’impiego vengono indicate due possibili spiegazioni. Le proposte «rifiutate» sono 53. Stiamo parlando di persone disoccupate che hanno risposto negativamente a una concreta offerta di lavoro, rifiuto previsto dalle regole del reddito di cittadinanza fino a una terza occasione, pena la perdita del sostegno economico.

In 285 casi invece le aziende hanno ritenuto i candidati «non idonei»: persone che non hanno superato il colloquio nonostante rispondessero a tutti i requisiti degli annunci proposti. Il terzo motivo è più generale e non riguarda tanto la misura in sé, quanto il momento non certo felice per l’economia. L’incertezza causata dall’epidemia di coronavirus, che ha mandato a soqquadro interi settori di produzione, frena gli investimenti delle aziende. Le prospettive economiche sul lungo periodo non aiutano le assunzioni, ancora al palo, a maggior ragione quelle «difficili» dei disoccupati che percepiscono il reddito di cittadinanza.

Una spinta all’offerta lavorativa arriverà senza dubbio dalle 130 assunzioni previste nelle prossime settimane nei centri per l’impiego della Bergamasca. Una novità a cui la Provincia ha lavorato anche durante i mesi di lockdown per arrivare pronta a settembre. Con questi nuovi ingressi si potrà ampliare il numero di contatti e di aziende per tutti i bergamaschi disoccupati in cerca di un nuovo impiego.

Elisabetta Donati, responsabile del coordinamento dei centri per l’impiego bergamaschi, spiega che «i decreti governativi emanati durante l’emergenza hanno sospeso tutti gli obblighi per i percettori del reddito di cittadinanza e questo ha comportato un parziale stop delle attività nei confronti dei beneficiari da parte del personale dei centri per l’impiego e dei navigator». Bergamo però non si è fermata. Anzi, è stata la provincia che ha continuato a programmare controlli e colloqui in via telematica per non perdere troppo tempo. In tutte le altre province, invece, si è fermato tutto. Solo così è stato possibile fare una prima valutazione a tutti i percettori, 5.315 sul totale di 5.733. I controlli hanno consentito di procedere a 207 revoche e individuare 522 esonerati, cioè i percettori che non dovranno sottoscrivere il patto per il lavoro. Elisabetta Donati non nasconde che gli attuali numeri delle assunzioni sono «deludenti, ma con 130 nuove figure avremo sicuramente un innalzamento delle capacità occupazionali. Purtroppo tutti gli inserimenti sono alle prese con la stagnazione del mercato del lavoro». Promettente, invece, il dialogo instaurato con i Servizi sociali del Comuni bergamaschi con cui è previsto un confronto costante per stabilire con attenzione se i beneficiari possono lavorare oppure se devono firmare i patti per l’inclusione. «Non dimentichiamo che questa misura è stata pensata anche per contrastare la povertà - continua Donati -, quindi è fondamentale strutturare una sinergia con i Servizi sociali. Le zone d’ombra tra caso lavorativo e caso sociale sono tante e vanno analizzate con particolare premura».

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