Dalle sue mani «ondeggianti» prendono
il largo i grandi velieri del passato

Gianmario Vavassori, geometra di Brignano, colpito dal Parkinson prende forza dedicandosi al modellismo.

La nave Amerigo Vespucci, con i suoi tre alberi, la linea elegante dello scafo bianco e nero, i fregi dorati sulla prua, ricostruita in perfetta scala 1:100, se ne sta in una vetrina ben illuminata nel bel mezzo del soggiorno di Gianmario Vavassori, dietro lo schienale del divano. Ricorda a tutta la famiglia il motto dei cadetti della Marina, la frase di Leonardo «Non chi comincia, ma quel che persevera», che sembra scritta apposta per chi ogni giorno si alza e deve fare i conti con la malattia di Parkinson. Gianmario non ricorda perché otto anni fa, quando ha iniziato a dedicarsi al modellismo, ha scelto proprio le navi: eppure gli calzano a pennello, perché sono un simbolo, un invito ad aprire gli orizzonti, a non fermarsi, a non arrendersi mai.

Il laboratorio in taverna

«Se vuoi costruire una barca – scrive Antoine de Saint-Exupéry nel suo “Piccolo principe” –, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». Nello sguardo di Gianmario si legge un’energia lenta e potente, come quella che muove le onde: cova ancora nel cuore un entusiasmo prezioso, quasi fanciullesco, che lo spinge a sognare traguardi sempre nuovi, anche oggi, a sessant’anni, con il Parkinson.

Nella taverna di casa sua, a Brignano Gera d’Adda, ha creato un vero e proprio laboratorio, che è diventato negli anni anche una sala espositiva con i suoi velieri collocati in ordinate vetrine. Ci sono soprattutto modelli da guerra, perché Gianmario è un combattente, e tra tutte spicca una riproduzione della Victory in scala 1:50 (è grande il doppio delle altre, un bel colpo d’occhio). È la nave che l’ammiraglio Horatio Nelson nell’ottobre del 1805 condusse alla vittoria contro Napoleone nella celebre battaglia di Trafalgar, con i suoi cento cannoni e la polveriera rivestita di rame. È un’opera magnifica, accuratissima, che lo rende particolarmente orgoglioso: «L’ho costruita da solo – spiega – usando materiali di recupero: assi di legno dagli avanzi dei cantieri, lo spago preso dal macellaio, rame, ottone. Ci vuole un po’ di creatività, bisogna studiare il progetto nei particolari, calarsi nei panni dei maestri d’ascia. Per me è una continua sfida con me stesso». I suoi primi fan sono i suoi figli, Gabriele e Valeria, di ventitré e vent’anni.

La lezione a scuola con la nave

Sono soprattutto le gambe a impedirgli di andare dove vuole. Ogni tanto si bloccano, lo tradiscono con il loro tremore. Quando è nel suo laboratorio, però, Gianmario può viaggiare in ogni luogo, nello spazio e nel tempo, grazie alle sue navi: «Tempo fa ho portato la mia Victory alla scuola primaria di Verdello, dove ho tenuto con gli amici dell’associazione del Modellismo di Zingonia una lezione un po’ originale. Gli occhi dei ragazzi brillavano, si sono innamorati di questa storia». Potevano immaginarsi l’ammiraglio Nelson dare ordini sul ponte, le corse concitate dei soldati, le vele dispiegate al vento.

Il geometra del Duomo di Milano

«Tra vent’anni – come scrive Mark Twain – sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Esplorate. Sognate. Scoprite». Gianmario nel corso della vita l’ha fatto in molti modi, anche attraverso il suo lavoro: «Sono geometra – racconta –, ho ricoperto a lungo il ruolo di capo cantiere, anche in opere importanti a Milano come il restauro del Duomo, di Santa Maria Incoronata, la chiesa di San Fedele nella piazza del municipio, San Vittore al Corpo accanto a Sant’Ambrogio». A un certo punto, spiega la moglie Manuela, l’avevano chiamato per lavorare nella Fabbrica del Duomo: «Lui però non se l’era sentita, avrebbe dovuto gestire una grande squadra di operai, era un compito molto impegnativo e in quel periodo non desiderava più responsabilità. Ha incominciato a soffrire di frequenti mal di testa e ha deciso di tornare a lavorare come muratore in paese».

I violenti mal di testa

La sua vita è cambiata completamente: «Era molto più tranquillo – continua Manuela, che gli si muove accanto silenziosa e attenta come un bravo angelo custode – anche dal punto di vista fisico incominciava ad accusare la fatica, soffrendo di dolori alla schiena molto invalidanti». Una sera Gianmario non ce l’ha più fatta e ha chiesto di essere portato al Pronto soccorso: «Non amo i medici, non ci sono andato volentieri – spiega – ma davvero non ce la facevo più, il mal di testa era insopportabile». A quel punto è stato preso in carico da uno specialista e sottoposto a numerosi esami, e l’arrivo della diagnosi, nel 2009, quando Gianmario aveva 52 anni, ha portato parecchi nodi al pettine: «Non è stato facile accettarla - chiarisce Manuela – per diversi mesi non abbiamo detto niente a nessuno». Averne finalmente consapevolezza, però, ha permesso di mettere in fila i numerosi piccoli segnali che prima non era stato possibile interpretare nel modo corretto: «È stato un periodo difficile, perché lui stava male ma nessuno riusciva a capirne le ragioni. Aveva mal di schiena e dalle scintigrafie che gli prescrivevano, non risultava mai niente. Eppure anche quel dolore poteva essere un sintomo, dicono che con il Parkinson lavorino male i muscoli della schiena. Aveva problemi di manualità fine, a volte non riusciva ad allacciarsi neanche la cerniera della giacca a vento».

Da quando ha iniziato le terapie, Gianmario ha potuto scordarsi il mal di testa. In compenso, però, ha collezionato una serie d’infortuni alla schiena, compresa una caduta accidentale, scivolando su una biro, proprio lui che ha sempre avuto un equilibrio eccezionale, e che sui ponteggi «si arrampicava come un gatto». Si è procurato la frattura di alcune vertebre, ha subito due interventi, è stato costretto a portare il busto e a rimanere in casa: l’inattività e il riposo, però erano davvero difficili per uno come lui. È stato allora che Manuela si è ricordata di quel kit da modellismo che aveva acquistato anni prima per il figlio come regalo di Natale, e che era riposto in cantina, inutilizzato. «Conteneva i pezzi necessari per costruire un’imbarcazione molto semplice – racconta –, un’impresa adatta a un ragazzo di dodici anni, ma per Gabriele forse non era il passatempo giusto. Mio marito, invece, quando gliel’ho proposto, si è entusiasmato». Era continuamente sotto l’effetto degli antidolorifici, appena i farmaci mollavano la presa soffriva terribilmente, perciò era fondamentale trovare qualcosa che gli permettesse di distrarsi: «Mi ha affascinato fin dall’inizio l’idea di poter tradurre un disegno in un oggetto concreto – osserva Gianmario –, in fondo era quello che facevo, come geometra, con i progetti degli ingegneri. Anche in quel caso erano importanti la fedeltà, l’accuratezza e l’attenzione ai particolari, bisognava seguire le istruzioni ma anche saperci mettere un certo impegno e un tocco personale. Il mio lavoro era un quotidiano, paziente allenamento alla precisione. Un progetto navale, però, è ancora più intrigante e coinvolgente».

Gianmario aveva perso sensibilità alla mano sinistra, faticava a muovere il braccio, non riusciva più nemmeno ad allacciare e slacciare i bottoni: «Con la nuova attività di costruzione di navi, però, sono migliorato tantissimo. Quando ho finito la prima, ho subito pensato di iniziarne un’altra, un po’ più complessa. Le giornate a casa erano lunghe, e quella era un’impresa appassionante. All’inizio mi costava parecchio sforzo, non era facile maneggiare pezzi piccoli, usare le dita per incastrarli, legarli, incollarli. Pian piano, però, ho recuperato la manualità. Il cordame delle velature richiede moltissimi nodi, li ho sempre fatti io, uno per uno. I miei problemi più gravi, purtroppo, ora riguardano le gambe e la mobilità. Quando esco a piedi non sono più sicuro di riuscire a tornare a casa da solo, senza intoppi e senza aiuti».

L’oscillazione delle braccia

All’inizio i medici gli avevano fatto notare che l’oscillazione delle braccia, quando camminava, era asimmetrica: da una parte più accentuata, dall’altra quasi assente. «Così abbiamo incominciato a guardarci intorno – dice Manuela –, spiavamo la gente sulla spiaggia, e ci siamo accorti che era davvero così. Poi però grazie al modellismo anche questo problema si è alleviato». Gianmario ha ripreso a coltivare anche altri vecchi hobby e passioni: «Colleziono francobolli e monete, sto raccogliendo gli euro di tutti gli stati europei e di ogni anno. Da qualche mese ho incominciato a recuperare e a riparare vecchie biciclette che altrimenti finirebbero in discarica: mi procuro i pezzi e le rimetto a nuovo».

Le gambe pesanti

Prima usciva volentieri e camminava molto, ora invece la malattia lo costringe a una mobilità ridotta: «Mi sento le gambe più pesanti, perciò preferisco restare in casa. Guardo lo sport alla televisione, mi piacciono molto il tennis e la Formula 1, poi gioco a scacchi. C’è stato un periodo in cui portavo al bar una scacchiera portatile, in seguito ne ho realizzata una personalizzata, da tenere in casa, in un formato un po’ più grande, copiando i pezzi da quelli che avevo già. Mi piace tenere le mani occupate, realizzare oggetti, cimentarmi in attività sempre nuove».

L’aiuto dell’associazione

Gianmario e Manuela hanno trovato un sostegno in più nell’Associazione parkinsoniani di Bergamo, che hanno incominciato a frequentare di recente: «Gianmario all’inizio non voleva – spiega Manuela – per timidezza e per una sua resistenza personale nei confronti della malattia. Poi invece ha compreso quanto sostegno e conforto reciproco possano arrivare dallo scambio e dalla condivisione di esperienze. Non tutte le giornate sono uguali, in certi giorni è un po’ giù di morale». Da vero capitano, però, non molla il timone e tiene lo sguardo sull’orizzonte, perché ogni giornata è come quel mare vasto e infinito, che - come per i marinai di Saint Exupéry - tiene accesa la luce del cuore.

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