«Dsa» vola oltre i pregiudizi e si laurea
per aiutare i piccoli a superare gli ostacoli

Un percorso difficile dall’infanzia alle superiori, poi la svolta dell’università e dell’indipendenza.

«E se diventi farfalla - scrive Alda Merini - nessuno pensa più a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali». Anche Luca Alborghetti, trent’anni, di Bergamo, alla fine è riuscito a spiccare il volo: ha trovato la strada giusta per esprimere al meglio le sue qualità, lasciando da parte tutte le zavorre, discriminazioni e pregiudizi che gli pesavano addosso quando era solo un bambino con una diagnosi di disturbi di apprendimento (Dsa). Ha saputo trasformare fatica, frustrazioni e rabbia in energia positiva, spinto dal desiderio di aiutare altri bambini in difficoltà ad affrontare nel modo migliore il loro percorso.

«A 8 anni pensavano fossi pigro»
Il 23 ottobre scorso ha finalmente conquistato la sua corona d’alloro e il diploma di laurea, dopo aver concluso con successo gli studi in «Terapia della psicomotricità per l’età evolutiva» all’Università degli Studi di Milano. Un traguardo che gli era sembrato a lungo irraggiungibile. «Mia madre – racconta – si è accorta delle mie difficoltà quando avevo otto anni. Allora frequentavo una piccola scuola primaria di paese, le mie insegnanti non avevano un’idea precisa di come dovessero essere trattati i disturbi di apprendimento. Mi consideravano pigro e svogliato, mi punivano severamente per i miei errori. Sono nato nel 1990 e la legge 170, che introduce strumenti didattici adeguati ad affrontare situazioni come la mia è del 2010, è arrivata troppo tardi per me. Quando ho seguito l’iter diagnostico i test hanno rivelato dislessia, disortografia e disgrafia. Avevo quindi difficoltà nella lettura e nella scrittura, di natura grafica e ortografica. Ricordo ancora come un incubo i dettati in cui scrivevo parole con le doppie raddoppiate o con fantasiose inversioni delle lettere».

La diagnosi
Tornare a casa e rimettersi sui libri con la mamma per i compiti era ogni volta un trauma: «Alla fine ero esausto, e mi sentivo triste e scoraggiato per l’atteggiamento degli insegnanti. Accade ancora, purtroppo, che i primi segnali di disagio siano trattati con leggerezza e che alcuni ragazzi con problemi di apprendimento arrivino alla scuola secondaria di primo grado senza diagnosi. Succede anche che la certificazione ci sia ma non venga presa in considerazione e che manchi quindi un piano didattico personalizzato (Pdp). Non sono ostacoli di poco conto per gli studenti e per le famiglie».

Molto dipende dall’attenzione degli insegnanti e dalla capacità di creare un’alleanza con i genitori: «Durante gli anni della scuola primaria – ricorda Luca – ho subito un ricovero ospedaliero lungo, per un mese sono rimasto in ospedale a causa di una peritonite. Questo ha complicato la situazione, mi sembrava sempre di dover prendere la rincorsa per mantenermi al passo. Avere in mano una diagnosi è inutile se i docenti non sanno comprenderla e interpretarla in modo corretto. Ho fatto pace con la mia dislessia solo una volta adulto. Non ho mai voluto usare il computer in classe e neppure far sapere ai compagni della mia condizione, neanche quando sono passato alla scuola secondaria di secondo grado. Solo all’esame di maturità ho approfittato del tempo in più».

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Nella celebre «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare» Luis Sepulveda scriveva che «è molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile». Luca temeva di essere lasciato da parte dai compagni e cercava di compensare quelle che avvertiva come «mancanze» ponendosi al centro dell’attenzione: «Lo facevo – ricorda – in tutti i modi possibili, anche poco costruttivi. Sono espansivo per natura, mi comportavo in modo teatrale, di fronte a un’ingiustizia non potevo fare a meno di ribellarmi, ero rumoroso, non stavo mai fermo, mi rendo conto ora di quanto fossi difficile da gestire. Per un bambino è complicato comprendere e accettare di avere qualcosa che non va, o comunque qualcosa di diverso dagli altri, la consapevolezza arriva solo con il tempo».

L’associazione Aid
Luca ha potuto contare sul sostegno incondizionato della sua famiglia, che gli ha sempre dimostrato di credere in lui e lo ha appoggiato nelle sue scelte, anche nei momenti difficili: «Mia madre subito dopo la diagnosi è entrata nell’Associazione italiana dislessia, ha cercato informazioni utili, avviando presto un percorso per migliorare le mie strategie compensative. Se pian piano le mie abilità scolastiche sono migliorate è stato soprattutto grazie alla mia famiglia e all’associazione». La sezione di Bergamo dell’Aid ha una help-line tel. 335154457, due Sportelli genitori a Bergamo e Zogno e organizza attività anche online: info [email protected], www.bergamo.aiditalia.org.

La passione per musica e lettura
I genitori di Luca hanno scelto la scuola secondaria di primo grado con oculatezza, «ma accanto al gruppo docente stabile – sottolinea Luca –, in cui c’era sensibilità al mio problema, purtroppo c’erano a volte supplenti senza formazione specifica, e fra loro non mancava chi mi affibbiava epiteti poco gentili, mettendo in crisi la mia autostima».

Luca ha trovato col tempo passioni e hobby che gli hanno offerto più sicurezza in se stesso e l’hanno aiutato a crescere: «Ho una grande passione per la musica, ho iniziato a suonare il basso come autodidatta. Lasciando da parte la lettura sul pentagramma, che mi creava difficoltà, suonavo a orecchio e usavo notazioni numeriche. Un mio compagno di classe condivideva la stessa passione e con lui ho fondato il mio primo gruppo musicale». Un’altra passione importante è stata l’informatica: «Mi piaceva giocare con i videogame e la familiarità con il computer mi ha aiutato a prendere confidenza con gli strumenti compensativi, come il programma di dettatura. Nonostante la dislessia mi sono appassionato anche ai libri. Mi piacciono molto le storie fantastiche, ho iniziato con Harry Potter e la serie di Eragon di Christopher Paolini ma il libro che mi ha fatto davvero innamorare è stato “Il signore degli Anelli” di Tolkien. L’ho scoperto quando è uscito il primo film della serie e ho iniziato a leggere, perché volevo sapere come andasse a finire. Ho scoperto un mondo nuovo, ricco e affascinante. Mio padre è un grande lettore e mi ha affiancato leggendo qualche pagina per me ad alta voce ogni sera. Era davvero un bel momento per noi, lo aspettavamo entrambi. Poi ho continuato grazie a una bibliotecaria gentile e appassionata del suo lavoro che mi consigliava i titoli giusti».

Dopo i test di orientamento e un corso estivo di latino Luca ha scelto di iscriversi al liceo scientifico sperimentale, poi diventato indirizzo di «scienze applicate»: «A quel tempo sognavo di diventare uno storico ma studiare una lingua antica si è rivelato uno scoglio troppo grande per me. Ho coltivato per qualche tempo il sogno di diventare un biologo marino, ma quando ho iniziato a studiare chimica ho cambiato idea. Al secondo anno le difficoltà sono aumentate e sono stato bocciato». Luca era molto demoralizzato e ha valutato l’idea di abbandonare gli studi: «I miei genitori mi hanno consigliato un’esperienza di lavoro estiva per capire a che cosa andavo incontro smettendo di studiare. Ho fatto il “bocia” in una ditta che installava impianti di condizionamento. Portavo i pacchi più pesanti, trasportavo gli attrezzi, assistevo i tecnici. Dopo aver quindi sperimentato che tipo di mestieri avrei potuto svolgere senza un diploma, ho deciso subito di tornare sui banchi. Mi sono indirizzato verso l’Itis per diventare perito elettronico e delle telecomunicazioni e poter lavorare senza dover frequentare l’università. Non si è rivelata una buona scelta, mi sono reso conto che non era l’indirizzo giusto per me, non era la strada che avrei voluto seguire dal punto di vista professionale. Dopo il diploma ho trovato subito un posto e dopo sei mesi sono andato a vivere per conto mio, tenevo molto alla mia indipendenza. Ho cercato di cambiare spesso impiego per capire se con una mansione diversa la mia condizione sarebbe migliorata, ma non è stato così. Ho incominciato allora a frequentare dei corsi, ho lavorato molto su me stesso, ho capito che avrei dovuto rimettermi a studiare per poter svolgere una professione che mi piaceva, che valorizzasse le mie qualità. Mi sarebbe piaciuto dedicarmi a un mestiere che mi mettesse in relazione con gli altri e mi permettesse di prendermene cura».

Il risultato eccezionale
Dopo aver collaborato ad alcuni laboratori dedicati ai bambini con problemi di apprendimento, ha trovato la direzione giusta: «Ho capito grazie a quell’esperienza che avrei preferito dedicarmi proprio ai piccoli. Ho deciso quindi di sostenere il test per la facoltà di Terapie della psicomotricità per l’età evolutiva all’Università di Milano, che ho superato e in tre anni mi sono laureato. Affrontare la scuola da adulto è stato diverso, mi sono spinto oltre i miei limiti, sono riuscito a sviluppare i miei punti di forza, animato da un senso di rivalsa, che forse prima non avevo, ma con più serenità». L’ultimo anno di studi si è svolto durante la pandemia: «La didattica a distanza è utile per gli studenti con Dsa, è prezioso poter riascoltare i passaggi più complessi delle lezioni. Sono contento di come si è concluso il mio percorso e soprattutto di potermi impegnare per rendere la vita più facile ad altri bambini come me. Il risultato che ho raggiunto dimostra che un ragazzo dislessico può raggiungere qualunque traguardo, non bisogna porsi limiti. Certo, perché questo sia concretamente possibile e perché questi percorsi siano accessibili a tutti c’è ancora molto lavoro da fare, non solo per quanto riguarda gli strumenti didattici, occorre creare una sensibilità, una cultura diversa. Ora sono pronto a dare il mio contributo, in prima linea accanto ai più fragili».

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