Gori: c’è una città da ricostruire
«E faremo meglio di prima»

L’intervista al sindaco di Bergamo Giorgio Gori: «In quello che è successo ho ritrovato il senso profondo del mio secondo mandato». La ripartenza nei «permessi» a tre cantieri: stadio, ex Ote e Mangimi Moretti. «Per fare meglio di prima».

I tre figli «riportati» a casa, le telefonate quotidiane col fratello Andrea (primario di Malattie infettive al Policlinico di Milano), i lutti vicini. Il Covid ha stravolto anche la vita, e il secondo mandato, di Giorgio Gori. Settimana prossima la Giunta di Palafrizzoni rilascerà tre permessi di costruire: la tribuna di viale Giulio Cesare dello stadio, l’ex Molini Moretti e l’ex Ote. «Cantieri» a loro modo simbolo della città che si rimette in moto, dopo il dramma. Il sindaco è convinto: «C’è una laboriosità molto connaturata ai bergamaschi, che reagiscono alle difficoltà rimboccandosi le maniche, con la voglia di fare meglio di prima».

Domani (mercoledì, ndr) sarà un anno dalla sua rielezione. Pochi ci avrebbero scommesso, di sicuro nessuno poteva prevedere la pandemia.

«Essere rieletti non era così impossibile, forse la sorpresa è stata il primo turno. Certo nessuno poteva immaginare quello che ci ha travolto da febbraio in poi».

Quali sono stati i momenti più duri?

«Quelli legati al privato, quando, da metà marzo, ogni giorno c’era un parente, un amico , un collega che si ammalava o moriva».

E le difficoltà dal punto di vista istituzionale?

«Mi ha soccorso l’adrenalina, attaccavo alle 7 e finivo dopo mezzanotte, sono sempre venuto in ufficio».

Poi sono arrivati i camion militari a portar via le bare.

«Un’immagine che ha avuto la forza di far capire anche fuori da qui quale dramma stava vivendo Bergamo».

Bergamo è diventata così la capitale del Covid. Come si ricostruisce ora l’immagine di una città viva e sicura?

«Non sarà semplice e veloce. Ma sono arrivati qui i principali media internazionali. Oggi (ieri, ndr) la Bbc. Bisogna cercare di far diventare questa notorietà un valore, tradurre quell’empatia nata sul sentimento del dolore in un affetto positivo che ci accompagni nella fase della ripartenza».

Di fronte a una situazione totalmente inedita, anche lei ha fatto dei passi falsi.

«Non ho problemi ad ammettere che a fine febbraio sono stato tra coloro - e non eravamo in pochi - che hanno sottovalutato la gravità di quello che stava per succedere. Siamo stati un po’ indotti nell’errore, ma non lo rifarei».

Nei confronti della Regione non è stato così indulgente.

«La Regione ha responsabilità maggiori sulla Salute, materia che le compete. Di errori ne ha fatti tanti, con limiti di efficienza oggettivi, che non sono mai stati riconosciuti. Si sarebbe potuto collaborare con maggiore serenità, se non ci fosse stata un’eccessiva suscettibilità e lettura politica su ogni cosa».

Sul governo nulla da dire?

«Delle carenze ci sono state anche lì, basta pensare alla vicenda dei tamponi senza reagenti».

Dopo il lockdown Bergamo ha dimostrato una gran voglia di vivere, affollando parchi, centro, Città Alta. È preoccupato?

«Dopo la compressione psicologica e il dolore, è comprensibile che la gente si senta libera e liberata, ma non possiamo permetterci di tornare indietro. Il virus c’è e gira, quindi tutti dobbiamo prenderci il nostro pezzetto di responsabilità, senza militarizzare la vita delle persone».

Cosa pensa degli «assistenti civici» che il governo vuole mandare nelle città?

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere».

Che estate sarà?

«Mi immagino tanti spazi per sedersi e consumare alla giusta distanza. Ho fatto un giro in bici nei quartieri, sabato scorso, per arrivare nel giro di 2-3 giorni ad avere nuovi luoghi disponibili, perché non si perda la socialità, ma regolata».

Dopo l’emergenza sanitaria teme quella sociale?

«È inevitabile, una chiusura così prolungata produce danni economici e quindi sociali. Sono aumentate le famiglie “non note” ai Servizi sociali che hanno chiesto aiuto, e mi preoccupa la sorte delle piccole attività economiche che fanno il tessuto della città».

Cosa sta facendo il Comune per sostenere famiglie e microimprese?

«Per le microimprese c’è il programma Rinascimento, l’esenzione della Tari, la sospensione del canone di occupazione del suolo pubblico e della tassa di soggiorno. Alle famiglie, invece, è destinata una parte (2,5 milioni di euro) del fondo Mutuo Soccorso, che sostiene anche turismo e cultura».

A proposito, con Brescia ha lanciato la candidatura di Bergamo capitale della cultura 2023. Ci crede?

«È un sogno da coltivare. Oggi (lunedì, ndr) abbiamo fatto una riunione anche con Ubi, perché, oltre a sostenere i bilanci delle istituzioni culturali cittadine per il 2020-2021, confermi la partnership per costruire il programma della candidatura nel 2022-2023».

Il Bilancio del Comune sarà in grado di reggere con minori entrate e più bisogni a cui rispondere?

«Inizialmente avevamo stimato un “buco” di 9,5 milioni di euro che dovrebbe essere coperto dai fondi del governo. La crisi Covid si traduce però anche in una crisi di reddito, quindi bisognerà vedere le conseguenze sul gettito fiscale. Credo però che sia scongiurato il rischio di dover tagliare i servizi sociali o di fare sacrifici per chiudere in pareggio».

Con il Covid c’è stato lo stop forzato alle opere pubbliche. A quale teneva di più?

«Mi dispiace non poter inaugurare il teatro Donizetti il 4 settembre col presidente Mattarella. Ma i tre permessi di costruire che daremo settimana prossima sono un segnale molto forte della voglia di recuperare».

Il Covid ha interrotto anche un anno eccezionale per l’Atalanta. Ha seguito il dibattito sulla ripresa o meno del calcio?

«In questo periodo non sono riuscito ad arrivare a leggere le pagine dello sport. Ma quando l’Atalanta tornerà in campo sarà un gran giorno per Bergamo, uno dei tasselli di normalità più attesi».

La Giunta ha dovuto rivedere i suoi programmi. In che modo?

«Il Covid ha rallentato i cantieri, ma in altri campi può essere un fortissimo acceleratore di cambiamento. Ad esempio sui servizi nei quartieri e sulla mobilità».

Quest’anno l’ha cambiata?

«È stato un anno molto intenso, ed era difficile prevederlo così. Ma proprio qui ho trovato il senso del mio secondo mandato, la ragione più vera e più profonda per venire in ufficio ogni mattina. Abbiamo davanti 4 anni per ricostruire e dare alla città una prospettiva superiore rispetto al trauma che ha vissuto».

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