Il midollo osseo donato alla sorella, la passione di dedicarsi al prossimo

Rossana Signorelli ha 54 anni, vive a Morengo, presiede l’Avis locale, volontaria della Croce Rossa e ora dell’Admo. «Io e mia sorella Marzia forse adesso ci somigliamo di più. Un dono poterla aiutare».

Rossana Signorelli è la sorella maggiore, solare ed estroversa. Marzia invece, la minore, è timida e riservata. Non potrebbero essere più diverse, anche fisicamente: una bruna, l’altra bionda. Come dice Elizabeth Fishel, scrittrice e giornalista inglese, «una sorella è sia il tuo specchio che l’opposto». A unirle, però, non sono più solo il sangue o l’affetto familiare, ma un legame speciale: una donazione di midollo osseo. Un’occasione rara anche tra consanguinei, dato che genitori e figli non sono mai completamente compatibili, e tra fratelli c’è una possibilità del 25 per cento. Secondo le statistiche di Admo, Associazione donatori di midollo osseo (www.admolombardia.org), per la donazione tra persone non imparentate tra loro solo una ogni centomila potrebbe essere quella giusta: per questo è così importante iscriversi al registro nazionale ed effettuare la tipizzazione, cioè l’analisi genetica. «Quando mi sono iscritta al gruppo del mio paese - spiega Rossana - non avrei mai pensato che un gesto così semplice avrebbe potuto salvare la vita proprio a mia sorella».

Impiegata part-time

Si schermisce, con modestia, perché non le sembra di aver fatto niente di speciale, eppure questa scelta, accessibile a tutti, ha davvero il potere di trasformare un individuo qualunque in un «supereroe». Vive a Morengo da sempre, ha 54 anni, lavora come impiegata part-time in una ditta, e la sua grande passione è dedicarsi agli altri: presidente della sezione locale dell’Avis, è stata in passato anche volontaria della Croce Rossa. «All’Avis mi sono iscritta a 18 anni, ancora prima della patente, perché sentivo il desiderio di fare qualcosa per gli altri. Mi sono avvicinata alla Croce Rossa su suggerimento di un cugino, ed è stata una sfida con me stessa. Sono da sempre molto impressionabile, perciò all’inizio non sapevo se sarei stata all’altezza. Ho seguito il corso di formazione, ho superato l’esame, e per i primi mesi mi hanno assegnato il ruolo di centralinista nella sede di Treviglio. Poi mancavano i barellieri perciò mi sono adeguata. Quando ero con gli altri volontari della nostra squadra riuscivo sempre a trovare la forza di reagire e di rispondere in modo appropriato alla situazione di emergenza. Ci sono stati anche momenti difficili e molto forti dal punto di vista emotivo. Una volta, per esempio, abbiamo dovuto recuperare un’auto che si era ribaltata in un fosso vicino a Malpaga e i ragazzi a bordo, purtroppo, erano tutti morti. È stato un trauma terribile, non lo dimenticherò mai. Per qualche anno ho fatto anche l’autista di un’ambulanza. Quando mi sono sposata e sono rimasta incinta del mio primo figlio, però, ho smesso perché non riuscivo più a conciliare i tanti impegni». Ha trasmesso la sua dedizione per il volontariato e l’attenzione all’ambito sociale anche ai suoi figli, che oggi hanno 28 e 22 anni: «La più piccola, in particolare, dopo la laurea in Scienze dell’educazione sta seguendo un percorso in una casa di accoglienza accanto ai bambini in attesa di affido».

L’Admo di Morengo ha una storia particolare: «Il nostro paese - racconta Maria Fornari, la referente - ha 2.400 abitanti e ci conosciamo tutti. Ha suscitato scalpore, quindi, la vicenda di Gian Battista Milani, fotografo del paese, che si è ammalato di leucemia e purtroppo è morto prima di potersi sottoporre a un trapianto di midollo osseo. Nessuno dei suoi familiari era compatibile. Ha lasciato una lettera in cui chiedeva di promuovere azioni di sensibilizzazione alla donazione». Il gruppo Admo di Morengo è nato da questa spinta: «Esistevano già Aido e Avis - sorride Maria - perciò il nostro paese è stato uno dei primi della Bergamasca ad avere la “tripla A” della solidarietà». Così anche Rossana si è sentita subito coinvolta: «Gian Battista è l’autore del mio album di nozze, mi sono sentita vicina a lui e ho risposto positivamente al suo messaggio, e come me tanti altri».

Nate tante iniziative

Sono nate tante iniziative di sensibilizzazione e di raccolta fondi, come la «Mangialonga». «La organizzavamo una volta all’anno - racconta Rossana -, ed è stata per dieci anni una bella tradizione, purtroppo interrotta perché non avevamo più abbastanza volontari e sponsor per proseguire. Sarebbe bello ora poterla riprendere. Era una camminata “a tappe”, e ad ognuna c’era uno stand di ristoro: prima la colazione, dopo qualche chilometro l’aperitivo, poi il primo e così via. Era un’occasione d’incontro per tutte le associazioni del paese, con un grande spirito di collaborazione. Alla festa finale c’erano centinaia di persone». Proprio per sottolineare questo impegno generoso della gente del paese è stato dato il nome del «Parco del Donatore», a uno spazio verde attrezzato nel centro del paese, molto frequentato da grandi e piccoli.

Il gruppo Admo di Morengo era nato da poco quando Marzia, la sorella di Rossana ha scoperto di avere un linfoma non-Hodgkin. «Era sempre stanca, ma allora aveva due bambini ancora piccoli, inizialmente non pensavamo che fosse un sintomo preoccupante. La diagnosi ci ha gettato nello sconforto. È stata sottoposta a chemioterapia - racconta Rossana - ha reagito bene e alla fine pensava di essere guarita. Purtroppo però qualche anno dopo ha avuto una recidiva. Ho sempre cercato di starle vicino in ogni modo». Cercando informazioni e confronto ha trovato un forum online, www.piccolipassi.info, un gruppo di auto-aiuto a distanza che riunisce familiari e malati di adenopatie, leucemie, linfomi e paragangliomi: «Mi ha aiutato molto potermi confrontare con persone che avevano una storia simile alla nostra, e in quel luogo virtuale ho stretto tante nuove amicizie». Quando è arrivata la terza recidiva Marzia ha chiesto alla sorella di sottoporsi alla tipizzazione per verificare la compatibilità del midollo osseo. «Siamo sempre state molto diverse - osserva Rossana - sia nell’aspetto fisico sia nel carattere. Abbiamo cinque anni di differenza e un temperamento quasi opposto. Proprio per questo temevo che non saremmo state compatibili, ma ho accettato di sottopormi alle analisi senza esitare. Mi ricordo che al centro prelievi dell’ospedale Papa Giovanni XXIII ho incontrato un signore che doveva ricevere frequentemente trasfusioni di sangue. Stavamo chiacchierando, gli ho raccontato che ero presidente dell’Avis del mio paese. Mi ricordo il suo sguardo grato, è stato bello incontrare qualcuno che aveva avuto un beneficio dalla nostra attività di donazione. Ha rafforzato la mia convinzione a proseguire con entusiasmo».

Rossana ha atteso l’esito con ansia ed emozione: «Ero così impaziente - ammette - che già il giorno dopo avevo telefonato all’ospedale sperando di sapere il risultato. In realtà occorreva molto più tempo, ci sono voluti due mesi. Quando finalmente è arrivata la telefonata mi ricordo che ero in auto. Mia sorella mi ha detto che la compatibilità era del 100%, un fatto rarissimo, e mi sentivo il cuore esplodere dalla gioia. I medici, infatti, per non creare false illusioni, ci avevano chiarito fin dall’inizio che anche tra sorelle le possibilità di compatibilità era solo del 25%. È iniziata una nuova serie di analisi approfondite per verificare che fossi completamente sana, e dopo averle superate in modo positivo ho iniziato ad assumere un farmaco che stimola la crescita delle cellule staminali nel midollo osseo e il loro passaggio nel sangue periferico. Nel frattempo mia sorella ha dovuto affrontare sedute di chemioterapia ad alto dosaggio». Così, quasi senza accorgersene, Rossana è arrivata al momento fatidico: «Il 10 luglio del 2018 sono andata da sola a Milano, nell’ospedale in cui mia sorella era in cura, per verificare se il farmaco che mi avevano somministrato aveva dato il risultato sperato. Il medico mi ha chiesto se ero disposta a fare subito la donazione. Nel nostro caso, infatti, come avviene ormai per otto trapianti su dieci, bastava un prelievo».

La risposta senza pensare

La procedura si chiama aferesi, e si avvale dell’utilizzo di separatori cellulari: il sangue prelevato da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene reinfuso nel braccio opposto. «La richiesta mi ha colto di sorpresa e ho risposto subito di sì, senza pensare che non c’era nessuno con me per riaccompagnarmi a casa, nel caso non mi fossi sentita subito in forze. Alla fine ho insistito per tornare comunque in treno, anche se mi avevano offerto il taxi. Non ho avvertito particolari disturbi a parte un po’ di debolezza, nulla di serio. Il giorno dopo sono tornata normalmente a lavorare».

Marzia ha tratto i benefici attesi dal trapianto di midollo, nonostante qualche complicazione: «Anche nel caso di piena compatibilità - osserva Rossana - può capitare di avere la “malattia dell’ospite”, una reazione immunitaria dell’organismo alle cellule trapiantate. Mia sorella comunque ha risposto alle terapie e adesso sta bene. Per me è stato un dono poterla aiutare». Un gesto che ha rafforzato il loro legame, rendendole ancora più vicine: «C’è chi dice che a volte dopo un trapianto cambino i gusti alimentari e perfino la pigmentazione della pelle - commenta Rossana con un sorriso -. Forse adesso ci somigliamo di più». Dopo aver vissuto questa esperienza così intensa ed emozionante, è cresciuto ancora il suo desiderio di sollecitare altre persone a donare il midollo osseo: «L’ho provato di persona, posso sgombrare il campo dalle false paure. C’è chi ancora teme di dover affrontare interventi chirurgici o grandi complicazioni, ma non c’è alcun pericolo. La procedura è semplice, ed è un grande gesto d’amore».

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