In quarantena 543 «debolmente» positivi
Contagiosi? Dibattito aperto tra gli scienziati

I dati Sono un quarto del totale rispetto ai 2.257 in sorveglianza attiva Sono davvero contagiosi? Dibattito acceso nella comunità scientifica.

Un quarto dei bergamaschi che sono sottoposti alla quarantena risultano essere «debolmente positivi» al coronavirus. Sono 543 casi sugli attuali 2.257 in regime di sorveglianza attiva da parte di Ats. E va precisato che il numero totale comprende, oltre ai bergamaschi risultati positivi al tampone, anche tutti i contatti stretti obbligati a non uscire di casa per evitare di diffondere del contagio. Anche in provincia di Bergamo quindi la maggior parte dei positivi scoperti nell’ultima settimana sono stati classificati sotto la voce «debolmente».

Lo dimostrano le dichiarazioni del direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi - «i tamponi che vengono effettuati sono per lo più debolmente positivi» - e anche i risultati dei primissimi esami (obbligatori) svolti in seguito alla positività al test sierologico nella campagna promossa dal Comune di Bergamo. Dei 13 nuovi positivi, 11 lo sono in maniera debole. Ma cosa significa? La definizione di «debolmente positivo» non è molto precisa e sta sollevando un dibattito molto acceso all’interno della comunità scientifica. È la classificazione scelta per definire i tamponi che devono essere amplificati un numero molto alto di volte per far comparire tracce di Rna virale. Più il segnale viene amplificato, più c’è la possibilità che emergano tracce di Rna virale ormai inattivo.

È il punto su cui insiste Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri: nello studio promosso su 133 ricercatori del Mario Negri e 298 dipendenti della Brembo, i 40 casi positivi comparivano solo con un numero di cicli di amplificazione tra i 34 e i 38. Nelle ultime settimane molti ricercatori stanno cercando di capire se una così bassa carica virale sia davvero un segnale di non infettività. Uno dei primi studi pubblicati sul tema è stato firmato da Christian Drosten della Charité di Berlino. Il virologo, tra i più importanti a livello mondiale, spiega che sotto le 100 mila copie di Rna virale per millilitro di espettorato, il rischio residuo di infettività «è da considerarsi minimo». I 40 positivi trovati nella ricerca del Mario Negri avevano tutti meno di diecimila copie di Rna virale. E lo stesso vale per i 543 positivi casi positivi in tutta la provincia di Bergamo. La stessa organizzazione mondiale della sanità ha rivisto i criteri per definire un paziente guarito: può essere dichiarato non contagioso, quindi può uscire dalla quarantena, chi non ha più sintomi da tre giorni e sono passati almeno dieci dalla prima comparsa.

Mentre nel caso di un positivo asintomatico, come molti di quelli che stanno emergendo in seguito allo screening dei test sierologici, devono passare dieci giorni dal primo tampone. La nuova direttiva non è stata ancora recepita dall’Italia, che ha scelto la via della prudenza nonostante si stiano moltiplicando le voci di esperti che considerano il virus «meno aggressivo». Lo stesso Remuzzi ha firmato una lettera insieme a Matteo Bassetti Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini (direttore dell’unità di rianimazione dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo), Giorgio Palù, Roberto Rigoli e Alberto Zangrillo: «Le evidenze virologiche hanno mostrato un costante incremento di casi con bassa o molto bassa carica virale.

Sono in corso studi utili a spiegarne la ragione. Al momento la comunità scientifica internazionale si sta interrogando sulla reale capacità di questi soggetti paucisintomatici e asintomatici di trasmettere l’infezione». Una posizione che ha causato l’ennesimo scontro tra esperti. Silvio Brusaferro, Gianni Rezza, rispettivamente presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Iss, Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, hanno più dichiarato che il virus non è meno aggressivo.

E lo stesso ha fatto il virologo Andrea Crisanti: «È vero, la carica virale è diminuita - ha dichiarato al Corriere -. In ospedale si vedono sempre meno casi, in più soggetti che per loro comportamenti o situazioni a rischio si sarebbero infettati durante il picco, oggi o non contraggono la malattia o ne sono colpiti in forma lieve, ma bisogna stare attenti a come si esprimono questi concetti. Ci vuole umiltà, non conosciamo ancora bene il virus». L’unica certezza è che, almeno per ora, i 543 bergamaschi debolmente positivi devono restare in quarantena. Almeno fino a quando gli scienziati non si metteranno d’accordo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA