La Brexit non ferma l’Università
Continua la «mobilità studentesca»

Dopo l’uscita dall’Unione Europea, Regno Unito escluso dai programmi Erasmus. Il rettore: «I nostri iscritti potranno studiare in Inghilterra: c’è la copertura finanziaria».

«Non viviamo la Brexit come un dramma. I nostri studenti continueranno ad andare a studiare in Gran Bretagna». Parole rassicuranti dai vertici dell’Università di Bergamo, pur in un panorama ancora da definire, soprattutto se osservato dall’Inghilterra. Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la Gran Bretagna è stata esclusa dal programma Erasmus e non riceverà più fondi dalla Ue per i bandi di mobilità studentesca. Gli scambi degli studenti potranno comunque continuare, a patto che vengano siglati accordi extra Erasmus tra i singoli atenei. Insomma, sarà una questione di volontà e di fondi. UniBg ha già previsto un budget che copra le spese e consenta ai suoi iscritti di proseguire gli studi in Uk. Coperture garantite per l’anno accademico in corso e per il prossimo.

I rapporti tra l’Università di Bergamo e gli atenei inglesi sono di lunga data e consolidati, ultraquarantennali in alcuni casi. «Sospenderli sarebbe un paradosso – commenta il rettore Remo Morzenti Pellegrini –. Siamo fiduciosi e contiamo di poter siglare accordi bilaterali con i nostri partner d’oltremanica, che già lo scorso anno ci avevano scritto assicurandoci che la Brexit non avrebbe inciso sulla mobilità studentesca. Ci auguriamo sia così». Attualmente l’Università di Bergamo conta su accordi Erasmus con 20 atenei del Regno Unito, cui vanno aggiunte le convenzioni che prevedono lo scambio di docenti e studenti con altri cinque atenei (Oxford, Brighton, Leicester, Essex e Guilford-Surrey) e l’accordo per il doppio titolo di laurea con l’Università di Dundee.

«Nell’anno accademico in corso, fortemente segnato dalla pandemia che ha determinato molte rinunce, una quarantina di nostri iscritti hanno studiato in Gran Bretagna – spiega il prorettore all’Internazionalizzazione di UniBg Matteo Kalchschmidt –. Per gli studenti in uscita dal nostro ateneo non cambierà molto, salvo la necessità, da parte loro, di chiedere un visto per studiare in Inghilterra e l’aumento dei costi che noi dovremo sostenere; discorso diverso per gli universitari del Regno Unito in entrata nel nostro Paese, bisogna vedere se saranno economicamente supportati. A oggi non abbiamo ricevuto notizie dalle autorità competenti. Ci auguriamo si possa trovare una soluzione come già accaduto con la Svizzera, che ha trovato un accordo con la Ue per una linea di finanziamento separata». Oggi gli atenei non possono più prescindere dalla mobilità studentesca, una voce fondamentale per università come quella di Bergamo, che negli ultimi anni ha impresso una forte accelerazione all’internazionalizzazione.

I numeri

«Ogni anno accogliamo tra i cinquemila e i seimila nuovi iscritti – continua Kalchschmidt –, 450 dei quali in media vanno a studiare all’estero per alcuni mesi. Uno su dodici segue un programma di mobilità. Tra il 15 e il 20% sceglie atenei del Nord Europa, il 15% la Spagna, il 10% va in Inghilterra, Francia o Germania. E poi ci sono le repubbliche baltiche, la Russia e i Paesi extra Ue come la Cina, il Giappone, l’Australia. Rispetto al passato l’attrattività della Gran Bretagna non è cresciuta, anzi, hanno preso quota gli atenei scandinavi, dove si parla comunque l’inglese e la qualità dell’offerta didattica è alta». E la Brexit potrebbe portare nuovi studenti dall’estero in Italia, in quegli atenei che offrono corsi di laurea in inglese. «Il fatto che gli inglesi abbiano alzato i costi, equiparando gli studenti europei a quelli extraeuropei, potrebbe giocare a nostro favore – spiega il rettore Morzenti Pellegrini –; chi prima andava a studiare in Inghilterra ora guarderà anche agli atenei di altri Paesi con corsi di laurea internazionali di buon livello. E noi siamo pronti ad accoglierli».

© RIPRODUZIONE RISERVATA