La giovinezza dai movimenti involontari
Elettrodi al cervello riportano equilibrio

Intervento al «Papa Giovanni» per restituire vitalità a una ragazza di 24 anni affetta da distonia.

«Una convinzione non è profonda se non produce un’azione» scrive Jane Austen in uno dei suoi romanzi più celebri, «Emma». La protagonista è una giovane donna molto determinata, attenta osservatrice della natura umana. Emma R., 24 anni, che vive e lavora a Esine ha in comune con lei non solo il nome ma anche questo stesso coraggio e tenacia. Fin da piccola convive con una grave forma di distonia DYT-1, una malattia neurologica rara di origine genetica, che provoca disturbi motori e spasmi muscolari involontari. Da pochi mesi ha affrontato un intervento straordinario e molto delicato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: un impianto di elettrodi, che ora le offre la speranza di una vita diversa.

Una questione genetica

«I miei genitori - racconta - hanno scoperto che avevo la distonia quando ero piccola, già verso i 5 anni di età. Tutti i miei parenti di parte paterna sono stati sottoposti a consulenza e screening genetici mirati, a causa della scoperta di una storia familiare di distonia a esordio precoce in una zia. I medici hanno indagato su tutto l’albero genealogico per capire chi fosse portatore e chi avesse ereditato il gene. I risultati non sono stati buoni: ho scoperto che sono positiva e portatrice. In quel momento, però, gli specialisti avevano detto ai miei genitori che probabilmente non avrei manifestato sintomi e non avrei avuto grandi ripercussioni fino all’adolescenza. In realtà sono stati troppo ottimisti. Allora non avevano ancora capito che la patologia, trasmettendosi da una generazione all’altra, tendeva a diventare più aggressiva e non il contrario, come loro si auguravano».

Già alla scuola primaria, invece, Emma R. ha iniziato ad avere alcune difficoltà motorie: «All’inizio i miei genitori non avevano dato troppo peso ai miei problemi di scrittura, attribuendoli a una possibile disgrafia dato che ero già dislessica e discalculica. Poi però si sono accorti che sentivo molto dolore e hanno capito che era colpa della distonia. Qualche anno dopo si sono presentati altri fastidi, questa volta a un piede, causati secondo i medici da una tendinite acuta e non dalla mia patologia».

I cambi di ospedale

Emma ha comunque un buon ricordo della sua infanzia: «Tutto sommato non avevo difficoltà insormontabili - osserva con un sorriso - e riuscivo a condurre una vita normale. Certo, un po’ mi pesava che i compagni mi prendessero in giro per la mia brutta grafia». La sua famiglia, nel frattempo, si è impegnata molto per farle ottenere le migliori terapie possibili: «Ci siamo rivolti prima all’ospedale di Brescia, poi a Torino, cercando specialisti che fossero in grado di trattare la distonia. Siamo approdati al Besta di Milano dove sono stata in cura per alcuni anni, provando farmaci diversi. In quel periodo i sintomi peggioravano comunque ma molto lentamente». Dopo qualche anno le è diventato impossibile scrivere con la mano destra, che si contorceva involontariamente e faceva cadere la matita. A quel punto è stata costretta a scrivere con la sinistra: «Non credevo di poterlo fare, ma ce l’ho messa tutta e ci sono riuscita, anche se con molta fatica». Poco tempo dopo, però, anche quella mano è stata intaccata dalla distonia.

Movimenti senza controllo

«Speravo fosse possibile trovare un rimedio più efficace - dice Emma -, purtroppo però sembrava che non ce ne fossero. In quel periodo mi sono sentita abbandonata a me stessa, a volte con un pizzico di disperazione. Non riuscivo a parlare tranquillamente della malattia, mi ero confidata soltanto con le mie migliori amiche, dagli altri mi nascondevo. Col tempo, però, man mano che i movimenti involontari diventavano più evidenti, ho capito che era meglio spiegare subito che cosa stesse accadendo, di quale patologia soffrivo, in modo che le persone fossero al corrente e si comportassero di conseguenza».

La passione dell’equitazione

La sua più grande passione fin da bambina è stata l’equitazione: «Ho iniziato ad andare a cavallo quando avevo sei anni - racconta -. Mia madre pensava che fosse un capriccio e che mi sarei stancata subito, perché nessun altro della famiglia praticava questo sport, invece non ho mai smesso. Non ho partecipato a competizioni, perché l’ambiente è troppo competitivo e i cavalli vengono trattati male e poi messi da parte, come vecchie biciclette. Per me invece il rispetto degli animali e della natura vengono prima di tutto. Non vedo l’ora di poter montare di nuovo in sella. Stare all’aria aperta, camminare e cavalcare mi fa sentire libera, mi rilassa, allontana i pensieri negativi. Mi sono resa conto che sono proprio queste cose a dare valore alla vita, a renderla degna di essere vissuta».

Con il passare degli anni, le contrazioni anormali dei muscoli si sono diffuse alla gamba destra. Emma a un certo punto ha dovuto anche rinunciare all’equitazione. Nonostante tutto è riuscita a terminare gli studi, ha trovato un lavoro d’ufficio e si è fidanzata. «Sia io sia le mie cugine - racconta - siamo diventate molto brave a mascherare i disturbi della distonia, in modo che le persone non se ne accorgano, ma questo ci toglie tantissime energie, perché gli spasmi sono involontari, i muscoli sono continuamente in movimento e anche la testa. Dopo una giornata di lavoro mi capitava di scoppiare in lacrime per il dolore e la fatica, riempiendomi di unguenti per alleviare l’indolenzimento».

Due anni fa Emma si è rivolta all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per un consulto con Camillo Foresti, neurologo e neurofisiologo, responsabile della neurofisiopatologia: «Mi ha seguito fin dall’inizio con molta sollecitudine e mi ha prospettato fin dalla prima visita la necessità di un intervento chirurgico. Abbiamo poi dovuto anticiparlo rispetto ai piani che avevamo inizialmente, perché la distonia continuava a peggiorare con effetti molto invalidanti in tutti gli ambiti: lavorativo, relazionale e della vita quotidiana».

In quel momento la sua situazione era già piuttosto seria: «La contrazione involontaria intermittente dei muscoli - ricorda il dottor Foresti - coinvolgeva i quattro arti ed era presente anche a riposo. Aveva una distonia multifocale, con il tronco risparmiato».

Emma sapeva che l’intervento sarebbe stato complesso e invasivo, perciò ha preferito prendersi del tempo per riflettere prima di eseguirlo: «Gli ultimi due anni sono stati difficili. Anche solo un aperitivo con le amiche era diventato un’impresa ardua: non riuscivo a tenere in mano la tazzina del caffè, per non parlare di un bicchiere. Non riuscivo a prendere le tartine dal piatto. Se volevo bere dovevo farmi portare una cannuccia. Piccole cose che forse gli altri non notavano nemmeno, ma io non sopportavo di farmi vedere così. Ero molto agitata per le possibili complicazioni dell’intervento, ma mi sono resa conto di essere ormai allo stremo delle forze. Dovevo assumere una dose elevata di farmaci, che provocavano molti effetti collaterali, compresi sonnolenza e depressione. Non potevo arrendermi a un’esistenza fatta solo di sonno e dolore, ed è stato questo a spingermi finalmente a procedere con l’intervento. Negli ultimi mesi prima di eseguirlo, spasmi e dolori erano diventati insopportabili, ho dovuto anche smettere di lavorare».

L’impianto di stimolazione

L’impianto di stimolazione cerebrale profonda (Dbs), prevede il posizionamento di alcuni elettrodi nel cervello, collegati a un neuro stimolatore, per ridurre i sintomi motori. È stato eseguito all’ospedale Papa Giovanni XXIII dal neurochirurgo Roberto Donati il 9 marzo 2021, in piena terza ondata Covid: «Emma - racconta il dottor Foresti - lo ha affrontato in anestesia locale: era completamente sveglia e partecipava attivamente al posizionamento del neuro stimolatore. L’intervento è durato 12 ore. A un certo punto, quando l’elettrodo sinistro si stava avvicinando al bersaglio sul globo pallido e le è stato chiesto di aprire e chiudere velocemente la mano destra, non senza una nota di commozione, sua e di tutte le persone in sala operatoria, ha detto: «Era da 10 anni che non riuscivo a farlo». Il decorso post-operatorio è stato impegnativo: «I medici - ricorda Emma - mi avevano preparato, perché fossi in grado di cogliere qualunque segnale di pericolo, fortunatamente però è andato tutto bene. Ho dovuto sopportare molto dolore, ma stavolta sapevo che sarebbe stato temporaneo. Mi ci è voluto quasi un mese per recuperare la piena capacità di movimento. Secondo i medici sto facendo progressi: stiamo lavorando sulla regolazione degli elettrodi dell’impianto e so che devo avere pazienza, ci vorrà almeno un anno e mezzo per arrivare a una condizione ottimale. Sto molto meglio, posso di nuovo uscire per qualche passeggiata».

La lezione della malattia

La malattia per Emma è stata una compagnia costante, le ha mostrato, come scrive Susan Sontag «il lato notturno» della vita, ma l’ha resa anche più forte, non è riuscita a impedirle di vedere il sole: «La distonia - afferma - condiziona tutta la mia vita, anche il pensiero di formarmi una famiglia. Dovrò preoccuparmi, per esempio, di non trasmetterla ai miei figli. Fortunatamente la scienza procede velocemente e spero che in futuro sarà in grado di trovare soluzioni sempre più efficaci. Questo intervento però mi ha dato speranza e mi ha aperto orizzonti migliori. Mi restano tante paure, non so come sarà il futuro, ma continuo ad avere fiducia. Ci sono ombre, ma anche molte luci. La mia patologia mi ha reso più sensibile ed empatica nei confronti degli altri: quando guardo una persona mi chiedo quale sia la guerra che sta combattendo, e noto subito se c’è una vena di tristezza o di malinconia. Ero molto timida da piccola, poi col tempo ho imparato a superare i miei limiti. Sono diventata più coraggiosa, ho imparato a farmi valere, a non vergognarmi, a non farmi condizionare dai giudizi della gente». Ora è pronta a realizzare nuovi sogni, grandi e piccoli, come - e lo dice sorridendo - «indossare un paio di scarpe col tacco alto».

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