La montagna non è una giostra
Portate rispetto, state a casa

La gente di montagna ha paura. Perché finora quel che in normalità è l’handicap di chi vive nelle alte valli – l’isolamento – si è forse rivelato importante.

«Se vengono su, li meniamo». Dice così un amico della montagna, che quando guarda dal salotto vede la Presolana e dalla cucina il Pizzo Camino. La gente di montagna ha paura, ora che arriva Pasqua. Perché è freschissimo, nella memoria, quel sabato di inizio marzo quando agli ingressi degli impianti da sci centinaia di persone si accalcavano, incuranti di quel che sarebbe potuto accadere. Incuranti di aver caricato in auto, oltre a sci e scarponi, pure il virus.

La gente di montagna ha paura. Perché finora quel che in normalità è l’handicap di chi vive nelle alte valli – l’isolamento – si è forse rivelato importante. L’isolamento che costringe a grandi trasferte per lavorare, per la scuola, per una visita medica. L’isolamento che fa sì che non ci siano cinema e teatri sottocasa. L’isolamento che alimenta i luoghi comuni sulla gente di montagna, chiusa, scorbutica, fasci di nervi che ti guardano storto appena parcheggi. Forse è proprio quell’isolamento l’unica arma delle nostre alte valli. I morti ci sono stati, il virus non ha risparmiato nessuno.

La gente di montagna sa che chi viene da fuori per stare meglio contribuisce a quel po’ di benessere che si può costruire lassù. Ma stavolta, no. Stavolta, chi vuole fare la gita eviti. Chi vuol dare aria alla seconda casa dopo l’inverno, stia nella prima. Fa niente se la vista tangenziale non sarà affascinante come la pineta, e se il clacson di un autobus non è caratteristico come il ruscello in lontananza. State a casa, perché la montagna è fatta di vita, non è una giostra. Lo spettacolo indecente di quel sabato di marzo non si deve ripetere, perché quel che ha fatto male ai «montanari» non erano «solo» quelle code, e il rischio del virus. Quel che ha fatto male è l’egoismo di quella scelta: bella giornata, vado a sciare. Nessun pensiero per quella gente, che con mille sacrifici la montagna la tiene viva tutti i giorni, anche i lunedì e i martedì quando le strade non brillano dei suv degli sciatori, ma quando sono vuote, e dunque vere strade di montagna.

I nostri paesini in queste settimane hanno avuto i loro problemi. Magari piccoli nei numeri, ma grandi per le difficoltà logistiche. Le comunità si sono date una mano, hanno aguzzato l’ingegno per curare i malati e organizzare la prevenzione. Volontariato come sempre, e forse anche di più. Con medici e anche farmacisti ammalati, la «rete» di montagna ha messo in pista tutta la buona volontà possibile. Mascherine, ossigeno. Alpini, protezione civile. E anche i parroci - più si sale più don Camillo storicamente mette all’angolo Peppone - hanno consegnato medicine nelle abitazioni. Chi magari ancora medita di sfidare i controlli per risalire le valli, ci pensi. Non sprechi questa fatica. La montagna non è una giostra, che s’infila il coin e si sale a fare un giro. La montagna è persone. Non vi picchieranno, se andrete su: quella è gente di pace, per definizione. Ma hanno le antenne dritte, e dopo quel sabato non gradiranno repliche. State a casa, niente gite, o weekend lunghi, o grigliatine di pasquetta.

Nel 1946 a Colere qualche ospite inatteso si è visto sollevare la macchina, all’ingresso del paese, e girata di 180 gradi, col muso rivolto a valle. «E ades, pasa gió». Non è leggenda: è storia, e l’auto era dei carabinieri. Portate rispetto, state a casa.

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