Lara Patelli: «Io, volontaria
per ringraziare chi mi aiuta»

Di Treviolo, 50 anni, ha una malattia genetica che limita la sua autonomia, ma ha deciso di dare il suo contributo aiutando la Casa di Leo: «Per quanto ricevo e ho ricevuto dalla vita e dal prossimo».

«La sensibilità è come un’allergia. Quello che a molti scivola sulla pelle, alle persone sensibili crea increspature nell’anima». Lara Patelli, 50 anni compiuti da pochi giorni, sorride e cita un aforisma di Paola Felice per raccontare la sua visione della vita, lei che è «piccola e fragile, ma alla fine, anche se si spezza, sa sempre come risollevarsi, soprattutto nell’animo» spiega. I capelli dal taglio sbarazzino, le unghie laccate di azzurro, è una donna che con la sensibilità ha imparato a crescere e a fortificarsi, prendendo sempre il bello da chi la circonda, donando sempre il meglio di quello che sente e vive, giorno dopo giorno.

La malattia genetica

«Sono nata con una malattia genetica rara, la Osteogenesi Imperfetta – spiega –. Io ho quella con tutti gli optional, la più grave, che negli anni ha deformato il mio corpo, reso le mie ossa sempre più fragili e non mi ha permesso mai di camminare, correre, vivere la mia vita in autonomia: le mie gambe non reggono il mio corpo in miniatura, ma talmente fragile che rischio di rompermi sempre qualcosa. Ormai ho accumulato più di 60 fratture nel corpo: da bambina mi rompevo a ogni scossone e ogni volta arrivava una nuova steccatura. Neanche mi ingessavano, neppure ora che continuo con le microfratture: il gesso è troppo pesante per la mia corporatura».

Lo dice con leggerezza, perché negli anni, la vita Lara ha imparato a prenderla così, accorgendosi con il passare del tempo che il dolore, la sofferenza, fanno parte di una vita immensa. «E allora mi sono detta che era ora di restituire tutto il bene che ho ricevuto, l’aiuto, il sostegno, anche solo i sorrisi». Da oltre un anno è diventata volontaria alla Casa di Leo, struttura attiva sul territorio di Treviolo per accogliere famiglie con bambini malati che necessitano di lunghe degenze ospedaliere. «Grazie agli appartamenti messi a disposizione, i genitori possono trovare un alloggio e un conforto durante i lunghi periodi in cui il loro piccolo deve rimanere ricoverato all’ospedale Papa Giovanni. Qui vivono mamme e papà, fratelli minori. Qui piccoli malati attendono un ricovero che salverà loro la vita».

Il volontariato

Ed è proprio qui che Lara ha scelto di vivere la sua esperienza da volontaria: la sua «inguaribile voglia di vivere» come la chiama lei, ha reso la sua sensibilità forte, tenace, determinata; incredibilmente orientata verso gli altri, soprattutto ora che ne ha la possibilità: «La Casa di Leo è vicina alla mia abitazione, e questo mi permette di non essere di peso a chi mi accompagna – spiega -. Sono affiancata sempre da un secondo volontario e nella Casa ho trovato i giusti ruoli, i giusti compiti per me, minuta e su un passeggino che mi permette di essere spostata da una stanza all’altra: le ossa delle mie gambe sono troppo fragili, non so cosa sia la sensazione di muovermi nello spazio liberamente. Nella Casa di Leo siamo come una famiglia allargata, una squadra eterogena e peculiare di volontari, giovani e anziani, di tutte le classi sociali».

Lara è come danzasse nella grande casa colorata di Treviolo: si muove con lo sguardo, con le sue mani veloci che gesticolano e raccontano sempre nuove storie, lei che ti saluta con un «Sii felice» e si muove con il sorriso riempiendo il vuoto creato dalla malinconia di chi è lontano da casa e vive di dolore. Lara catalizza l’attenzione, riposiziona fatiche, rimette in ordine i pensieri, anche quelli negativi. «Io so cosa vuol dire vivere in ospedale e fare avanti e indietro dai reparti: fino agli otto anni la mia casa è stato il “Gaslini” di Genova - racconta -. Fortunatamente avevamo una zia proprio nella città ligure, ma capisco perfettamente le famiglie che devono lasciare casa e stare con il proprio bambino in una città nuova lontana dalla propria. Mia madre mi ha raccontato che, quando non crescevo, la contestavano: le dicevano che non mi dava del cibo nutriente ed era per quello che ero così fragile tanto da spezzarmi. Erano cinquanta anni fa… e poi eccola lì questa malattia che pochi conoscono con me bambina dentro un letto con le sbarre in un grande ospedale lontano dalla mia città: non camminavo, ma ero la più vivace e saltavo giù in un attimo. Ricordo che a sei anni avevo organizzato un’evasione in perfetto stile romanzesco: rubavo una federa un giorno, un lenzuolo un altro giorno e ci avevo fatto una fune per una fuga rocambolesca e decisamente utopica. Diciamo che la furbizia non è nel mio dna» ride Lara, nel suo essere burlone.

«Dono ciò che ho ricevuto»

Poco furba, dice lei, ma molto ironica tanto da capire e accettare le sue malformazioni, i dolori alle ossa e le fratture che si moltiplicano. «Ma a 6 anni leggevo e scrivevo, ero curiosa, chiacchierina, vivace, sorridente». La vitalità fatta a persona: «Quelli con me li chiamano “i bambini con le ossa di cristallo”. Con gli anni la scuola era tutta la mia vita, ma la malattia mi ha privato di quel gusto: dopo le Medie era impossibile per me proseguire e ai miei tempi non era obbligatorio accettare una persona disabile nella scuola. Il sogno di studiare al Liceo Classico si è subito infranto e sono così finita a fare l’autodidatta, con i libri in prestito dai cugini, una quantità di letture tutte differenti – racconta -. La lettura è ancora oggi il mio rifugio e un modo per creare un legame con il prossimo: anche alle mamme della Casa di Leo consiglio testi da leggere, per pensare, per essere coraggiose, per non mollare, ma anche per svagarsi. Bergamo con il suo ospedale è un’eccellenza e tante le famiglie che da tutta Italia ed Europa sono qui per curare i propri figli: hanno bisogno di un letto, di un pasto caldo, hanno bisogno di conforto». Che lei dona: «Voglio semplicemente restituire quello che io ho ricevuto dagli altri in questa mia vita. Tutti i sorrisi, gli abbracci, tutte le volte che sono stata presa in braccio per essere portata da un luogo all’altro, che sono stata scarrozzata in giro tra una partita della mia amatissima Atalanta e dell’Olimpia, ma anche a un concerto, per cantare a squarciagola. Ora gioco con i bambini, rincuoro le mamme, faccio attività di ufficio e di comunicazione, mi occupo dei Social della Casa di Leo. Insomma faccio quello che posso e lo faccio con entusiasmo». Per far capire che si può: «Si può sempre trovare un verso buono nelle cose, una faccia della medaglia più fortunata, una pagina di un libro più ottimista». Si può provare a stare bene: «E lo dice una che è additata come sopravvissuta e che alla vita sorride sempre, perché è una sola ed è un dono meraviglioso».

«La vita è una sfida»

Sì, lo dice lei, minuscola, con una bellezza prepotente e irriverente: «Quella del cuore, della vita nonostante tutto. Ogni pezzo di esistenza deve essere affrontata come una sfida: la gente deve imparare a scoprire la ricchezza della diversità, il suo essere prezioso» continua Lara che ricorda Leonardo Morghen: «Lui non ce l’ha fatta ma il suo desiderio più grande, lui che negli Stati Uniti era stato ospitato in una residenza per un sostegno nelle cure insieme alla sua famiglia, era quello di creare una casa che anche a Bergamo aiutasse i bambini come lui, le famiglie come la sua. Ecco perché sono qui: per Leo, che nella sofferenza ha pensato a chi aveva bisogno, per me bambina in un ospedale lontano da casa e poi perché tutti siamo utili e indispensabili in questa vita così difficile, tutti possiamo dare un contributo. Per questo mi sono buttata: ho fatto il corso per diventare volontaria, non ho mai mollato in questi anni ed è il mio più grande progetto e orgoglio».

Lara è tutto questo, lei la vita la vive solo a colori: «Una volta ho letto che tutti noi siamo fatti diversi, perchè siamo poesia. È proprio così e basta saper leggere quelle strofe». Ma non tutti ne sono capaci: «C’è chi, quando ha saputo che facevo la volontaria, mi ha detto, con disgusto: “Ma non ti bastano i tuoi problemi?”. Io a questa gente la guardo dritta negli occhi e sorrido, semplicemente, perché non c’è nulla da aggiungere alla pochezza, all’ignoranza».

L’amico Prandelli

Sorride Lara e lo fa intensamente pensando a quanto si sente fortunata: «A vivere come vivo, io che non ho bisogno di altro, che mi sento amata, che ho affetti e amici speciali». Perché ha saputo creare reti di legami, attraverso passioni, emozioni condivise, semplicemente anche attraverso una frase scritta sui Social: «Uso Facebook per comunicare, ho fatto nuove amicizie, conosciuto persone che ora sono diventati legami indissolubili. Dentro e fuori dalla Rete, sul bordo di un campo da calcio, per esempio: «Il mio migliore amico? Cesare Prandelli, ormai da una vita: ero una ragazzina che andava a vedere l’Atalanta in ritiro . Un pomeriggio, in un bar, c’era Cesare con altri giocatori. In quei minuti scoppiò un temporale e per non farli bagnare abbiamo dato loro un passaggio in macchina fino all’albergo del ritiro. Cesare, vedendo che non potevo camminare, mi ha preso in braccio ,senza imbarazzo. Da quel momento, tutti i giorni è passato a prendermi a casa per portarmi a Zingonia a vedere gli allenamenti. Tutti i giorni, sia da giocatore che da allenatore, tanto che siamo diventati grandi amici. Ci vediamo spesso e lui stesso è stato alla Casa di Leo: mi ha detto che in questo spazio c’è sempre il sole, anche quando fuori è grigio. Ha ragione».

Esiste la normalità?

Lara ride sulle sue conversazioni con Cesare: «Una volta gli ho detto: “Certo che voi normali siete strani forti”. Cesare mi ha risposto: “Ma dove è la normalità? Esiste veramente?”. Gli facevo notare gli sguardi di chi mi osservava con fastidio, paura, pena e lui mi diceva: “Quando hanno finito poi si girano”. Aveva ragione, ho imparato molto dal suo modo di essere, così come dal lavoro di volontaria a Treviolo: sono io ora ad aver accettato la diversità degli altri, la loro umanità così complessa; ho imparato sempre a dare una seconda possibilità al prossimo e alla vita».

In fondo, a pensarci bene, la perfezione esiste veramente? «In questo mondo bramoso di onnipotenza, ora in ginocchio e spesso affossato dall’aggressività, dalle brutture della violenza – dice -. Altro che perfezione, ma lo dice una che arrabbiata, pessimista, non lo è stata mai». E a chi le chiede («E sono in tanti» sorride lei) come fa, Lara da spallucce e ride: «Mi piace guardare a quello che ho, e ho imparato molto bene ad avere diritti e doveri come tutti. A casa ho preso di quei ceffoni da ragazzina, quella meraviglia di mia madre è un generale anche ora, una donna incredibile. La mia forza la devo a lei, sono grata del suo coraggio e della bellezza della vita che mi ha donato e a tutti vorrei solo dire di andare oltre al proprio orizzonte: al di là c’è una vita bellissima».

Come quella che Lara dona agli altri: «Non guardo mai quello che mi manca, che non posso fare: guardo a quello che posso fare ancora, e ancora». Tifare l’Olimpia, seguire l’Atalanta, tutto lo sport possibile alla tv. E poi leggere, cantare, donare conforto,; raccontare una favola, sorridere ai bambini meravigliosi della Casa di Leo: «E poi vivere la mia vita bellissima,. Ho amici per ogni passione e le avventure sono sempre tante: con mia sorella Veronica, il gruppo dello stadio, gli amici di infanzia, quelli dell’oratorio di Treviolo, dei Social». È anche così che non pensa alla morfina da prendere per il dolore, alle battute imbarazzanti che le capita di ascoltare: «A cena al ristorante capita che mi chiedono se voglio il seggiolone – racconto -. Sorrido e assicuro che basta un cuscino».

«Aiutiamo la Casa di Leo »

Il suo pensiero più grande ora «è fare tutto quello che è possibile per la Casa di Leo : «Sono orgogliosa di queste famiglie, della loro dignità nella sofferenza. Vedo bambini di tutte le nazionalità giocare insieme nel nostro giardino. Non conoscono differenze di lingua, non sanno cosa sia la diversità». Il pensiero va ai mesi di lockdown: «In casa è rimasta la mamma di una bimba di 4 anni, moldava, che è in attesa di un fegato. Ci sentivamo via video, ci mandavamo foto e parole di vicinanza: il Covid non ha reciso i legami veri». Ora la Casa di Leo vuole ingrandirsi per poter ospitare più delle attuali cinque famiglie. Stiamo quindi cercando fondi per acquistare un appezzamento di terreno, ma servono finanziamenti, un aiuto da parte di tutti, del territorio, delle associazioni, perché non ci siano più mamme che dormono in macchina fuori dall’ospedale, perché non possono permettersi un alloggio». Sul sito lacasadileo.org l’iban per le donazioni: «Nessuno si salva da solo, lo ha detto anche Papa Francesco, e la vita ci sta dimostrando che la solidarietà è una rete che conforta e ci rende più umani. La vita deve essere presa con calma, con mitezza: lo spiega una che non può avere fretta, per forza di cose e deve essere dipendente in tutto e per tutto dal prossimo. Ho imparato così che aiutare ed essere aiutati è alla base del vivere civile».

Lara pensa a tutte le volte che gli amici la prendono in braccio con tenerezza: «Sono il loro gioiello prezioso e fragile. Dicono: “Facciamo piano che se no ti rompi”. Io sono grata a questa vita». Il desiderio per i prossimi 50 anni? Il nuovo terreno per la Casa di Leo, ma senza aspettare troppi compleanni – sorride -, e se proprio posso chiedere qualcosa d’altro… lo scudetto all’Atalanta».

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