L’Istat: c’è un nesso tra mobilità e contagi
In Bergamasca le conseguenze più gravi

Gli esperti hanno messo in relazione spostamenti per lavoro e aumento di mortalità. Ben tre zone omogenee orobiche (Albino, Zogno e Clusone) nelle prime cinque posizioni in Italia.

La dinamicità, tradizionalmente una virtù, ha offerto un lato oscuro costato caro. Il contagio da Covid-19 avrebbe infatti viaggiato seguendo i flussi del pendolarismo e dell’«intensità relazionale», secondo l’ipotesi tracciata dall’Istat nel rapporto annuale sull’Italia presentato venerdì. Nelle pagine del dossier, all’interno di un corposo focus dedicato agli sconquassi creati dal coronavirus, c’è infatti la traccia di una correlazione evidenziata in particolare in Bergamasca. «Una delle determinanti della localizzazione e delle diverse intensità della diffusione dell’epidemia è rappresentato dalla mobilità per lavoro», scrive l’istituto di statistica, che prende come riferimento la geografia dei «sistemi locali del lavoro», una griglia territoriale che divide in aree omogenee il Paese.

La mortalità più alta d’Italia si è avuta nel «sistema» di Albino, che comprende 17 comuni della media val Seriana, tra cui Nembro (Alzano è invece ricompreso nel «sistema» di Bergamo, a cui fa riferimento anche un’ampia cintura dell’hinterland): 45,2 morti ogni 10 mila abitanti. 40,9 morti ogni 10 mila abitanti nel «sistema» di Canazei (molto ridotto, tre comuni della val di Fassa), poi è l’area di Zogno (che comprende praticamente tutta la val Brembana) a segnare il terzo dato più drammatico, 35,4 morti ogni 10 mila abitanti; Orzinuovi, nel Bresciano, è il quarto «sistema» più colpito del Paese, 34,3 morti ogni 10 mila abitanti, quindi è Clusone (che include venti comuni dell’alta val Seriana) a chiudere i primi cinque territori più martoriati, con 34,1 morti ogni 10 mila residenti. A seguire ci sono poi i sistemi di Lodi (30,5 morti ogni 10 mila abitanti), Cremona (29,6), Piacenza (29,1), Fiorenzuola d’Arda (29).

Guardare ai sistemi locali del lavoro «consente di descrivere l’impatto dell’epidemia sulla base di una caratterizzazione del territorio che rappresenta i sistemi urbani giornalieri, ovvero quei luoghi nei quali le persone lavorano e intrattengono la maggior parte delle proprie relazioni sociali ed economiche. Tale caratterizzazione tiene conto dell’insieme delle reti, degli scambi e dei flussi tra persone in un’ottica molto diversa da quella che definisce i confini amministrativi», è la premessa.

La conseguenza, dunque, è che «la diffusione del contagio e la mortalità hanno sicuramente una relazione con il livello di intensità relazionale dei flussi nei sistemi locali del lavoro»: «I dati confermano l’ipotesi che il fenomeno abbia una tendenza a crescere con l’aumentare dei flussi, e i livelli più elevati della mortalità Covid-19 si osservano nei territori in cui l’intensità delle relazioni è maggiore». I «sistemi» bergamaschi, non a caso, presentano indici di intensità relazionale tra i più alti d’Italia. A supporto della tesi, viceversa, c’è il fatto che nessun decesso da Covid si è registrato «in quelle località distanti da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili».

Nel focus dell’Istat si rimarcano poi dati già noti. A partire da quelli della mortalità complessiva, che vanno ben oltre i decessi certificati dall’ufficialità del tampone: come noto, a marzo la mortalità in provincia di Bergamo è aumentata del 571,3% (il dato più alto del Paese) rispetto alla media mensile del periodo 2015-2019, e ad aprile del 122,9%.

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