Lorini: «Curva dei contagi in aumento
Misure più restrittive: isolare gli over 65»

Luca Lorini, direttore del Dipartimento di Emergenza, urgenza e area critica dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, guarda l’orizzonte delle cifre e non scorge segnali positivi nei provvedimenti fin qui per contenere il ritorno del virus.

Nei modelli matematici prende già forma lo scenario che si vivrà fra quindici giorni o un mese. Con una crescita, inevitabilmente. Una crescita che sarà tanto più alta se non si prenderanno provvedimenti adeguati. Luca Lorini, direttore del Dipartimento di Emergenza, urgenza e area critica dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, guarda l’orizzonte delle cifre e non scorge segnali positivi nei provvedimenti fin qui per contenere il ritorno del virus. «Abbiamo vissuto in maniera totalmente imprevista la prima ondata, e forse l’incoscienza di non sapere dove stavamo andando ci faceva stare in piedi. Oggi ne sappiamo un po’ di più sul Covid, e i numeri dei contagi (solo lunedì 19 ottobre 1.687 positivi) ci dicono cosa succederà. La paura che noi abbiamo è che le misure finora prese, ahimè, non saranno sufficienti per impedire che la curva salga. Altri Paesi, più avanti nella seconda ondata, ci mostrano già quello che succederà, e stavolta hanno fatto meglio di noi sul fronte delle contromisure, con provvedimenti più decisi».

La terra più colpita dalla pandemia a marzo oggi regge nei numeri e nel sistema ospedaliero, ma la guardia non può restare bassa. «Parlo della mia realtà, ciò che vedo e ciò che curo. Oggi i pazienti arrivano ancora un po’ prima rispetto alla fase critica. Un po’ perché i numeri dei contagi e dei ricoverati non sono quelli di marzo, un po’ perché qui tutti hanno coscienza di quello che è il Covid e di quelle che sono le misure da osservare – prosegue il medico –. Prima riusciamo a intercettare i pazienti, tanto meglio va il decorso. Sono però convinto che dovremo essere bravi a intercettare con la medicina del territorio una grossa fetta di quelli che si ammaleranno: curandoli in questa maniera, si previene il ricorso all’ospedale, e dunque un possibile intasamento». Nel principale ospedale cittadino i pazienti gravi di Covid restano ancora contenuti entro la decina, «troppo pochi per tracciare un paragone sul profilo dei malati di oggi rispetto a quelli di marzo – premette Lorini –. L’età media comunque è leggermente più bassa». È col confronto con la prima ondata, però, che matura la sensazione che per prevenire la seconda occorra (occorreva?, occorrerà?) prendere provvedimenti più drastici. «Dei 36 mila morti avuti nella prima fase, 33 mila erano persone con più di 65 anni – ricorda il primario –. Queste persone sono quelle che sono rimaste maggiormente nelle terapie intensive, occupando il 70-80% delle risorse». È da qui, in contrapposizione agli ultimi provvedimenti, che nasce l’osservazione di Lorini: «Anziché misure blande, dovremmo essere capaci di fermare gli over 65, isolandoli, ribadendo la logica del “nessuno incontri nessuno”: è questa la metodologia che suggerisco, che permetterebbe di ridurre fortemente i rischi e gestire al meglio le risorse».

Senza contromisure, il destino è segnato: «La stima della curva della pressione ospedaliera l’abbiamo già fatta, si basa puramente su calcoli matematici – spiega il direttore della terapia intensiva –. Sappiamo esattamente il margine di crescita che ci aspetta tra 15 giorni, e anche tra 30 se non si prendono altri provvedimenti». Una crescita ancora maggiore, ovviamente. «L’insegnamento più importante della prima ondata è l’essere pronti con le risorse, dai materiali alla predisposizione dei posti letto, e una conoscenza molto più approfondita delle terapie da usare. Ma se dobbiamo fermare l’epidemia, le manovre di contenimento devono essere messe in atto in tempo. L’attività ordinaria? Sicuramente bisognerà rinunciare a qualcosa di ordinario. Va fatta una programmazione – conclude Lorini –. L’unico modo per dare una risposta a questo è cominciare a fare in modo che gli anziani non si ammalino. Ecco perché serve un lockdown selettivo per età. Nel frattempo si rinvia ciò che è rinviabile, e si usano quelle risorse per altro. Ma non solo sul fronte ospedaliero: il malato di bassa intensità va intercettato nel territorio, perché si può curare a casa, lasciando l’ospedale per le situazioni più complesse».

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