Lotta con il Parkinson dall’adolescenza
«La mia bacchetta magica è la musica»

Elisa Rovelli oggi ha 34 anni ma la malattia le è stata diagnosticata a 17. L’aiuto all’ospedale di Trescore.

La musica per Elisa Rovelli è una bacchetta magica che rompe il silenzio del suo cuore e la trasporta in un mondo di emozioni e di colori, lontano da Mr. Parkinson, da sempre suo compagno di vita.

Ha solo 34 anni, e convive da quando ne aveva 11 con una forma giovanile e aggressiva di questa malattia neurologica degenerativa. Non per questo ha rinunciato alle sue passioni: «Ho imparato a caro prezzo – racconta – che con la tenacia e l’allenamento si può superare qualunque ostacolo». Il suo nome d’arte è Sigma The Voice, e ha fondato all’inizio del 2020 una piccola casa discografica, la Disability Records, con l’amico Alessio Pitoni, in arte Adria The Reject, affetto da fibromialgia. «La musica – spiega Elisa – è la passione che mi salva».

«Popping for Parkinson»

Vive a Usmate con la sorella, ma il suo rifugio segreto è l’ospedale di Trescore Balneario, dove ogni anno trascorre un periodo di ricovero per terapie di riabilitazione e frequenta gli incontri di «Popping for Parkinson», la disciplina inventata dal coreografo Simone Sistarelli, una forma di danzaterapia tra funk e hip hop con una tecnica basata sulla rapida contrazione e successivo rilassamento dei muscoli, un aiuto prezioso per contrastare i sintomi della malattia.

Nei testi scritti da Elisa per le sue canzoni l’asprezza della realtà quotidiana si stempera nella fusione tra rap e pop melodico: anche l’espressione artistica rispecchia il suo desiderio di sfuggire agli stereotipi. Se la sofferenza prende forma fa meno paura, come si legge in «Nausicaa», un brano tratto dall’Ep «Ad Arte», pubblicato nel febbraio scorso e prodotto da Brattini (Bndcks Studio, Torino), che parla della lotta di Elisa per la vita: «Qua dentro cuore fa rima con niente/ e niente allevia il male di un dolore/ che ti annienta lentamente».

I primi sintomi a 10 anni

I primi sintomi della malattia si sono manifestati quando Elisa aveva 10 anni: «Trascinavo una gamba, avevo problemi di rigidità e di lentezza. All’inizio nessuno sospettava che avessi qualcosa di grave e tantomeno che potesse trattarsi della malattia di Parkinson. I miei genitori mi hanno portato da diversi specialisti, che procedevano per tentativi e ricoveri senza riuscire a individuare l’origine dei miei problemi. Alla fine sono arrivata al Besta di Milano, dove mi hanno prescritto un farmaco usato per controllare i sintomi del Parkinson e sono migliorata rapidamente, in un modo quasi miracoloso. Gli esami genetici hanno poi evidenziato la mutazione del Park 2 che provoca alcune forme giovanili della malattia».

La diagnosi è arrivata quando Elisa aveva 17 anni, perciò ha trascorso l’adolescenza come avvolta in una nuvola di nebbia, in balia di un vento a cui nessuno sapeva dare un nome: «Mi sentivo sminuita dai miei compagni, cercavo di fare finta di niente ma mi rendevo conto che era impossibile. Combattevo senza sapere cosa fare, cercavo di vivere meglio che potevo».

La passione per la fotografia

Vivere per conto suo, continuare a studiare, cercare un lavoro: Elisa si è posta traguardi sempre più ambiziosi, impegnandosi al massimo per assaporare la vita, con il pensiero fisso di avere poco tempo a disposizione. «Ho frequentato il liceo artistico – racconta –, secondo le mie inclinazioni. Ho sempre amato la fotografia, perciò ho scelto un indirizzo sperimentale che mi consentisse questa specializzazione. Non ho mai avuto difficoltà a seguire le lezioni, ma faticavo a spostarmi da una classe all’altra, non potevo uscire con gli amici. Così mi è scivolata via la parte più bella dell’adolescenza. I miei coetanei non mi prendevano in giro perché rispondevo a tono, mi è capitato più spesso, purtroppo, di essere bullizzata da adulti. Mi è pesato molto dovermi sentire diversa e avere così tanti scogli da superare in un’età in cui di solito si può vivere con leggerezza. La malattia mi ha mostrato un lato nudo e crudo della vita, mi ha insegnato che prima di tutto dovevo volere bene a me stessa. Ho dovuto affrontare e superare molti limiti, ho commesso errori, ma tutti mi sono serviti per crescere e per diventare una persona più calma e riflessiva, più matura. Ho cercato di sfruttare tutte le occasioni e di dare il massimo. Viviamo in un’epoca in cui tutti si guardano o si fanno guardare, ma lo scambio autentico, l’ascolto, la comprensione sono limitati, molti non capiscono che invece sono le cose più importanti. A me lo ha spiegato Mr. Parkinson».

Sintonia con la dottoressa Rizzetti

Elisa, spinta dalla sua fame di vita e indipendenza ha vissuto in città diverse, ha trovato un impiego in una libreria, ha combattuto per realizzare i suoi sogni. «La malattia, però – sottolinea – a un certo punto è diventata troppo invasiva e ho dovuto smettere di lavorare. Cerco comunque di portare avanti i miei progetti in modo no profit. Certo non è la piena realizzazione che sognavo, ma continuo a impegnarmi per trovare senso e motivazione».

Non è stato facile per Elisa coltivare legami che durassero nel tempo: «Mi pesa molto dover dipendere dagli altri, non poter decidere da sola quando voglio uscire, vivere senza poter fare programmi». La pandemia non ha aumentato le difficoltà: «Sono abituata a restare in casa, anche se risento della sofferenza, la mortalità, il dolore da cui siamo circondati».

Sono soprattutto le terapie di riabilitazione a sostenere la sua qualità di vita: «Speravo che la malattia si evolvesse più lentamente, che mi lasciasse più tempo. A un certo punto cercavo una struttura per la fisioterapia e su internet mi sono imbattuta nell’ospedale di Trescore. Ho incontrato Cristina Rizzetti, neurologa e responsabile della riabilitazione Parkinson per una visita e ho apprezzato subito il suo approccio verso la malattia. L’anno scorso mi ha proposto un ricovero, mi sono fidata e ne ho ricavato un sensibile miglioramento. Quest’anno ho deciso di ripetere l’esperienza in autunno, da settembre a novembre, un periodo che ha coinciso con il secondo lockdown. Non è stato semplice rispettare le norme di distanziamento e restare chiusi in ospedale. Comunque ho ritrovato un bellissimo clima, un ambiente sereno. La dottoressa Rizzetti ha organizzato anche un’attività di danzaterapia con il “Popping” di Sistarelli, che mi piace moltissimo, perché aiuta sia dal punto di vista fisico sia psicologico. A ogni incontro rivedo persone che sono ormai diventate amiche, si può ballare per un’ora, ridere e chiacchierare e questo permette di distrarsi dalla malattia e mettere da parte i giorni grigi. Se continuo a conservare un atteggiamento positivo è merito di queste terapie, impostate con un approccio multidisciplinare, che risollevano i pazienti dal punto di vista fisico, ma contribuiscono anche a dipanare alcuni nodi psicologici e sociali».

«La musica – scrive Platone – è per l’anima ciò che la ginnastica è per il corpo»: Elisa con la sua miscela di rap-soul-melodico, che esplora sonorità sempre diverse, ha saputo creare un canale espressivo in cui far confluire tutta la sua energia: «Ogni giorno – spiega – mi alzo e mantengo una tabella oraria come se andassi a lavorare. Cerco di finire le mie canzoni, di mandarle a mixare e così via, in una piccola catena di montaggio costruita da me. Sono riuscita a fondare l’anno scorso una piccolissima etichetta con Alessio, un giovane marchigiano affetto da fibromialgia. Il logo è una carrozzina che impenna e il braccio della sedia è come la puntina di un giradischi. Il messaggio che vogliamo lanciare è quello di dare valore anche al limite, alla fragilità, alla malattia, offrendo un valore aggiunto al mondo della musica. Ci siamo divisi i compiti e collaboriamo a distanza. Lui è più hard core, io più melodica».

Pubblicati due Ep e un singolo

Nel 2020 ha pubblicato due Ep e un singolo: «Attraverso i social nascono sempre nuove collaborazioni, anche se non sempre poi si traducono in un’uscita “ufficiale”. Nascono amicizie fondate sulla stima e l’apprezzamento reciproco, è un modo per creare legami e non restare isolati. Sto cercando di mettere ordine nei materiali che ho accumulato, ma a volte restano lì, perché non abbiamo le risorse necessarie per elaborarli. Nonostante tutto non rinuncio e resisto, combattendo la depressione che è un’altra caratteristica del Parkinson, una malattia che divora dall’interno e continua a essere presente anche quando non si manifesta con segni visibili. Bisogna destreggiarsi tra alti e bassi continui, i farmaci a volte funzionano e a volte no. Mi capita di stare male, in quei momenti è fondamentale mantenere la calma e sapere che la crisi passerà. È dura affrontare tutto questo in un momento della vita in cui i miei coetanei pensano invece a costruirsi una famiglia. Coltivo le mie passioni da sana, perché è il modo migliore per conservare autonomia e dignità».

Il nome d’arte

Il suo nome d’arte, Sigma The Voice, che identifica i suoi canali su YouTube e Spotify, è una dichiarazione d’intenti: «Sigma è il nome di uno studio sui dischi volanti, e indica sia la volontà di offrire qualcosa di nuovo sia il viaggio che si compie con le canzoni. The Voice invece l’ho scelto perché la mia musica è un modo per dare voce a chi non ne ha. Io stessa ho rischiato di non riuscire più a parlare a causa della malattia, stavo perdendo la plasticità nel movimento, allora ho incominciato ad allenarmi tutti i giorni e sono migliorata moltissimo. Credo che questa possa essere una testimonianza utile anche ad altri, che possa aiutare a non perdere la speranza e a dimostrare che con tenacia e coraggio si possono raggiungere risultati inaspettati. Ognuno ha qualcosa da dire, e bisognerebbe tenerlo a mente in un periodo di forte isolamento come questo. Un confronto è sempre una gioia, a volte ci si scontra ma da tutti si può imparare qualcosa di prezioso».

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