«Mi chiamano Stella, come la stella alpina
il fiore delicato che resiste alle difficoltà»

Affetta dalla nascita da malattia rara ai reni, ha perso l’udito con la gravidanza. Ora è rinata.

«Mi domando - si chiede il Piccolo Principe di Saint Exupéry - se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua». Anna Vernillo ha dovuto esplorare a lungo la notte: dalla nascita è affetta da acidosi tubulare distale, una malattia rara che colpisce i reni. A 23 anni poi, durante la sua prima gravidanza, ha perso l’udito. Lei, però, non si è lasciata piegare dalle tempeste: due «malattie invisibili», tanto dolore, rabbia e solitudine non sono riuscite a spegnere il suo sorriso.

Ha trovato una luce a cui aggrapparsi: «Ho capito che non bisogna mai arrendersi, che vale la pena di vivere fino in fondo, farsi coraggio e sperare in un futuro migliore». «Il mio nome segno è Stella - racconta -, è il titolo della mia pagina Facebook, dove posto video di canzoni tradotte nella lingua dei segni. Stella è anche il soprannome che mi hanno dato in famiglia, perché mia madre dice che sono come la stella alpina, un fiore così bello e delicato nonostante cresca in alta montagna, in condizioni estreme, sfidando freddo, vento e intemperie».

Quando Anna è diventata sorda le è parso di subire una tremenda ingiustizia: se l’è presa con il mondo e con il destino, si è chiusa in se stessa e ci sono voluti due anni prima che riuscisse ad accettare la sua nuova condizione. L’ha aiutata un’amica preziosa non udente, Elisabetta Maio, fondatrice e presidente dell’associazione Conosci Lis, che promuove la conoscenza della lingua dei segni e si impegna per costruire una cultura inclusiva, un mondo in cui persone con abilità diverse imparino a rispettarsi, conoscersi, comunicare e intrecciare relazioni positive.

Un disegno speciale

«Quando Anna e io ci siamo incontrate - ricorda Elisabetta - lei era ancora piena di rabbia e di rancore, ma col tempo ha imparato a sciogliere i nodi, si è riconciliata con se stessa e con il mondo». Si è inserita nell’associazione come consigliere, poi tesoriere e ora è vicepresidente. Nel periodo difficile della pandemia ha svolto un’attività importante: «Le mascherine - spiega Anna - rappresentano un grosso ostacolo per le persone sorde, perché impediscono loro di leggere il labiale. Abbiamo trovato una soluzione disegnando un modello speciale con una fascia centrale trasparente in corrispondenza della bocca, in modo che possa mostrare parole e sorrisi. Ci siamo impegnate anche a scoprire come evitare che si appannasse, e alla fine siamo riuscite a trovare la forma giusta. Abbiamo collaborato con l’azienda che l’ha prodotta e ora la portiamo anche nelle scuole per farla conoscere e diffonderne l’uso il più possibile».

L’infanzia di Anna è stata segnata da frequenti malesseri, dolori lancinanti delle coliche renali, ricoveri ospedalieri, interventi per la rimozione dei calcoli, che sono tutti aspetti caratteristici della sua malattia: «I miei genitori all’inizio non sapevano che cosa avessi, la diagnosi precisa è arrivata quando avevo due mesi, confermata poi con esattezza a 12 anni dopo un esame genetico. È capitato più volte che mi portassero in ospedale perché non mangiavo e vomitavo. Avevo già delle coliche, ma ero troppo piccola e sapevo spiegarlo. Per un certo periodo hanno dovuto alimentarmi con un sondino. A causa della patologia i calcoli si formano molto velocemente e non possono essere bombardati, bisogna asportarli chirurgicamente. Mi è capitato di subire tre interventi di questo tipo nel giro di un anno. Ho vissuto uno dei miei momenti peggiori a 13 anni quando mi sono svegliata sul tavolo operatorio a causa di una reazione allergica. Ho aperto gli occhi ed ero paralizzata, non riuscivo nemmeno a comunicare. Un’infermiera ha dovuto intubarmi e alla fine, quando mi sono svegliata, mi hanno spiegato cos’era accaduto e perché non avevano potuto rimuovermi i calcoli. Dopo quest’episodio ho portato a lungo con me una sensazione di terrore e molti incubi notturni: è davvero una sensazione terrificante svegliarsi e non riuscire a muoversi, come se il corpo all’improvviso non rispondesse più ai comandi. Dopo analisi approfondite hanno scoperto che ero allergica al curaro, un miorilassante usato per l’anestesia. Da allora hanno impiegato farmaci diversi. Non esiste, purtroppo, una terapia specifica per l’acidosi tubulare distale. Posso soltanto assumere integratori alimentari che aiutino a riequilibrare il mio organismo, perché il mio ph è alterato».

Qualcosa stava cambiando

Quando è rimasta incinta si è accorta che qualcosa in lei stava cambiando: «La mia era fin dall’inizio una gravidanza a rischio a causa della malattia, avevo messo in conto la necessità di affrontare frequenti infezioni e coliche. Ho vissuto con molta fatica anche i cambiamenti nel mio corpo e l’aumento di peso. Anche per questo è stato davvero scioccante capire che stavo perdendo l’udito. All’inizio me ne sono accorta perché non sentivo bene la televisione, poi gradualmente i sintomi si sono accentuati, finché sono diventata quasi completamente sorda».

Anna non riusciva a rassegnarsi, era disperata: «Da bambina avevo più energia, più forza di reagire. A 23 anni, però, ormai ero adulta, e sentivo la responsabilità di essere forte anche per le persone che avevo vicino: i miei genitori, poi mia figlia Martina. Sapevo che anche loro stavano soffrendo».

La famiglia è stata come un’ancora in quei momenti: “Mia madre è infermiera, perciò quando c’era bisogno di trovare gli specialisti giusti era sempre lei ad informarsi e poi a sostenermi quando avevo paura. Mio padre mi ha sostenuto e aiutato in mille modi. Quando ho perso l’udito anche per loro è stato difficile perché hanno dovuto inventare modi diversi per comunicare con me. Io stessa non sapevo che esistessero i sottotitoli per seguire i film alla tv e non riuscivo più a fare cose semplici come fissare un appuntamento al telefono. Ora so che posso videochiamare e leggere il labiale».

Quando è arrivato il momento di tornare al lavoro, alla fine del congedo parentale, Anna ha dovuto affrontare nuovi ostacoli: «Ho trovato un posto in banca subito dopo il diploma al liceo psico-pedagogico. Ero inclusa fra le categorie protette a causa della mia malattia, pesantemente invalidante. Prima della gravidanza ero alla cassa, ma al rientro la mia vita si è complicata molto: non potevo più usare al telefono e avevo grandi difficoltà a capire le richieste delle persone, quindi poi ho cambiato ruolo, occupandomi di mansioni di back office. Posso comunicare con i miei colleghi prevalentemente via email. Dopo un po’ di tempo ho deciso di frequentare corso di lingua dei segni. Questo passaggio non è stato facile e nemmeno indolore. Ero preparata e abituata a sopportare un lancinante dolore fisico. La sordità, però, è diversa: non fa male e non si vede, ma provoca comunque molti disagi. L’incontro con Elisabetta mi ha fatto cambiare prospettiva e col tempo mi ha aiutato a capire che la mia esperienza avrebbe potuto essere utile anche a tante altre persone che si trovano in una situazione analoga. All’inizio io mi vergognavo, mi sentivo intimidita, non osavo quasi confessare di essere sorda. Col tempo però mi sono resa conto che è importante comunicare agli altri le proprie necessità senza paura, è un passo importantissimo. Anche nel mondo del lavoro all’inizio non riuscivo a spiegare che avevo dei problemi, così mi sono capitati episodi spiacevoli, come qualche cliente che si chiedeva se mi fossi alzata tardi e come mai fossi così pigra. Fa male sentirsi discriminati, e la lingua dei segni è ancora poco conosciuta, la nostra associazione si impegna proprio per questo».

La figlia Martina ha 7 anni: «Gli ultimi mesi di gravidanza sono stati durissimi. Avevo dolori insopportabili, avevano dovuto sedarmi con la morfina, e per diversi giorni a causa della sofferenza e dei farmaci sono sprofondata in una specie di delirio, finché la ginecologa ha deciso di farmi partorire con un cesareo, anche se mancavano due mesi al termine. Subito dopo la nascita hanno dovuto portare Martina in patologia neonatale. Quella notte ho pianto ininterrottamente, stavo malissimo per le conseguenze del cesareo, le coliche e la mancanza di mia figlia. L’ho rivista dopo due giorni, mi è sembrata piccolissima e indifesa. Poi siamo tornate a casa e il mio problema più grave era che non la sentivo piangere. Mi sono mancati i versetti, le prime parole. Ho trascorso a casa alcuni mesi, e intanto ho provato a inventare dei modi per comunicare con lei, ma era complicato. Martina ha avuto qualche problema a causa della nascita prematura: comunicava poco e quando la neuropsichiatra l’ha visitata le ha diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Col tempo fortunatamente questa situazione con le opportune terapie specialistiche, psicomotricità e logopedia, si è risolta in modo positivo. Nonostante sia nata alla trentatreesima settimana ha recuperato completamente il divario con i coetanei ed è cresciuta benissimo. Pian piano mia figlia ed io abbiamo trovato un modo per comunicare e lei ha imparato qualche segno. Ho trascorso un periodo difficile di crisi che è durato alcuni anni, dal 2012 al 2015, e dal 2016 è iniziato invece un periodo di rinascita. Nonostante le difficoltà ho sempre cercato di superare i miei limiti e di andare oltre, perché la vita è una, bisogna cercare di viverla al meglio e ognuno ha il suo ritmo».

Anna è diventata più forte, ha recuperato slancio e coraggio, dimostrando che, come scrive Epitteto, «Quello che conta non è tanto ciò che ti accade, ma come reagisci»: «Sono riuscita a far valere i miei diritti di persona disabile e sorda. Ho capito quanto sia importante lavorare nell’associazione per aiutare altre persone sorde a superare i loro problemi e a conquistare più fiducia in se stessi, mi sento di nuovo libera di sognare e di amare».

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