Papa Giovanni, primi risultati dopo il Covid
Il 30% dei guariti con problemi polmonari

I risultati del laboratorio di follow up dell’ospedale Papa Giovanni sui primi 600 (su 2.400) ex pazienti visitati. Rizzi: continueremo a monitorarli.

Adesso, s’inizia a capire. A dare risposte ai punti di domanda, tanti, che hanno travolto non solo i cittadini ma, soprattutto, gli esperti. Quali danni lascia l’infezione da coronavirus nei pazienti che si sono ammalati in maniera grave? E si tratta di danni irreversibili, oppure temporanei? Trattandosi di un virus sconosciuto, letteratura a cui affidarsi non ce n’è, e l’unico modo per averla è produrla. Autonomamente.

L’ospedale Papa Giovanni XXIII lo sta facendo, con un laboratorio di follow up che prevede di visitare, entro fine estate, i 2.400 pazienti contagiati e dimessi dal presidio cittadino. Ad oggi – coordinati da Marco Rizzi, direttore delle Malattie infettive, e da Monica Casati, responsabile della direzione delle professioni sanitarie sociali dell’ospedale – gli specialisti del Papa Giovanni hanno rivisto circa un quarto della platea, più o meno 600 ex pazienti: e qualche dato, seppur parziale, emerge. Ed è significativo. Uno su tutti: un ex paziente su tre ha ancora problemi ai polmoni. «Circa il 30% dei dimessi che abbiamo visitato in questo programma di follow up ha ancora difficoltà respiratorie, e necessita quindi di un approfondimento pneumologico – spiega Rizzi –. Allo stato attuale non possiamo dire se si tratti di danni permanenti e irreversibili, oppure se è solo una condizione momentanea. È presto per dirlo. Qualcuno potrebbe tornare a respirare normalmente nel giro di qualche settimana, qualcun altro a lungo andare potrebbe invece aver bisogno di un trapianto di polmone, nell’ipotesi più grave. Quel che è certo è che si tratta di pazienti che devono continuare ad essere monitorati».

Ma non ci sono solo i danni ai polmoni fra le conseguenze accertate a uno-tre mesi dalla dimissione: il 10% dei pazienti tornati in ospedale per il follow up ha problemi cardiologici (aritmie in primis), l’11% mostra livelli anomali di ansia, il 9% ha danni neurologici (che vanno da difficoltà cognitive a ictus), e il 10% registra problemi motori, per cui è necessario un percorso mirato di riabilitazione. È chiaro, come sottolineano gli esperti, che alcuni di questi danni sono dovuti, più che al virus, alla lunga permanenza in ospedale. In particolare in terapia intensiva. Ma la variabile che più incide sui danni accertati è la gravità dell’infezione, oltre che l’età del paziente e la sua condizione di partenza. «Crediamo di poter essere in grado, ad agosto, di pubblicare i dati riferiti ai primi 800 pazienti seguiti dal laboratorio di follow up – anticipa Rizzi – : dati che rappresentano un unicum nel panorama internazionale, non avendo ricevuto informazioni simili da chi ci ha preceduto nell’epidemia. E crediamo anche, per il mese prossimo, di essere in grado di fare già qualche correlazione. Per ora possiamo fornire solo dati nudi e crudi, senza analisi approfondita nè stratificazione».

Saranno anche nudi e crudi, ma i dati parziali raccolti dal Papa Giovanni fanno già «gola» : il presidio li ha già anticipati all’Oms, con cui sta collaborando proprio per produrre quella letteratura mancante, che dalla Cina non è mai arrivata. «La nostra è stata la prima area ad essere fortemente colpita dal virus al di fuori dalla Cina, ed è normale che si guardi con attenzione ai risultati del nostro lavoro di follow up – osserva Rizzi –. Un lavoro che rende orgoglioso l’ospedale, soprattutto per aver saputo creare una squadra multidisciplinare che si occupi dei pazienti e, contestualmente, della ricerca». Nel gruppo di lavoro ci sono infettivologi, pneumologi, radiologi, fisioterapisti, cardiologi, endocrinologi, psicologi, oltre a tutto lo staff delle professioni sanitarie. Esperti che, a follow up terminato, saranno in grado anche di produrre informazioni utili a capire quali modelli organizzativi è più utile adottare per convivere con le conseguenze dell’epidemia, così come di quante risorse si avrà bisogno: un conto è seguire un paziente a cui è rimasta una lieve insufficienza respiratoria, un conto è dover mettere in cantiere (anche in termini di risorse) un trapianto di polmone. «Ci prendiamo ancora qualche settimana per chiudere il lavoro e capire di cosa avremo bisogno nell’immediato e nel lungo termine».

Proprio in virtù del progetto che sta coordinando al Papa Giovanni, l’Oms ha nominato Marco Rizzi co-presidente (insieme alla fisiatra belga Carlotte Kiekens) di un tavolo di lavoro internazionale sulle conseguenze del coronavirus: un tavolo che, oltre a definire una proposta minima di follow up per i pazienti contagiati e dimessi, ha anche l’obiettivo di raccogliere dati su scala globale. Non solo. Rizzi è da poco entrato a far parte anche del comitato direttivo del «Cochrane Rehabilitation vs Covid-19».

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