Persi in sei mesi una decina di milioni
Rsa, è allarme occupazione

Le Rsa bergamasche stentano a lasciarsi l’emergenza alle spalle. Superata quella sanitaria, ora la crisi si è fatta economica.

Il grido d’allarme che si leva dalle case di riposo orobiche riguarda, soprattutto, i conti delle strutture: conti svuotati e messi in ginocchio dalle perdite subite nei mesi di chiusura assoluta, mesi in cui ogni nuovo ingresso di ospiti è stato severamente vietato dalla Regione, nel nome della tutela dei pazienti. Ora, però, i nodi vengono al pettine. Tutti. E poco sembrano fare le recenti delibere e provvedimenti regionali che pure ammorbidiscono le norme del settore.

Le nuove regole

Una delle novità contenute dalle ultime misure approvate dal Pirellone consente ai nuovi ospiti pronti ad essere ricoverati nelle Rsa di eseguire il tampone e scontare l’isolamento di 14 giorni all’interno della casa di riposo. «Prima, invece, dovevano fare tutto a casa e si pretendeva che fossero le Rsa a dover garantire la correttezza dell’isolamento trascorso al domicilio – spiega Fabrizio Ondei, presidente di Uneba -. È chiaro che la novità introdotta da Regione Lombardia facilita le cose. Ma il risvolto della medaglia c’è e si fa sentire. Dovendo riservare camere ai nuovi pazienti in isolamento pre-ingresso, si allungano di molto i tempi di inserimento nelle strutture e di riempimento dei posti vuoti. Non solo. Dovendo lasciare libere alcune camere per eventuali ospiti positivi, parliamo in questo caso di ospiti già degenti, si capisce la difficoltà di tornare a lavorare a pieno regime».

«Le risorse non bastano»

Difficoltà che, gira e rigira, vanno tutte a ricadere sui bilanci delle Rsa. E, a cascata, sui lavoratori. «Negli ultimi provvedimenti regionali non è stata data alcuna rassicurazione sulle risorse – aggiunge Barbara Manzoni per l’associazione San Giuseppe - e non ci è stato assicurato che il budget verrà confermato per intero nonostante i mesi di chiusura. Mediamente, negli ultimi sei mesi, una Rsa con 30-35 posti letto liberi - e sono davvero molte nella nostra provincia in queste condizioni - ha perso 300 mila euro, circa 50 mila euro al mese, con il risultato che adesso si trovano costrette a non rinnovare i contratti a termine dei dipendenti, e a non prevedere alcuna nuova assunzione: abbiamo dovuto lasciare a casa personale che ha dato il massimo durante l’epidemia, e questa scelta obbligata ci ha fatto male». Fatti due conti, nei primi sei mesi dell’anno, nelle case di riposo bergamasche sono andati in fumo alcuni milioni di euro, almeno una decima.

I posti letto

Secondo le associazioni di categoria, nei cinque mesi di chiusura si sono contati circa 1900 posti letto vuoti nell’intera galassia di Rsa bergamasche (ce ne sono 65 in tutto): «Ma nell’ultimo mese si sono registrati 650 nuovi ingressi di ospiti nelle Rsa – fa sapere il direttore dell’Ats Bergamo Massimo Giupponi -. Questo è l’esito più evidente del lavoro fatto con le associazioni di rappresentanza del settore». Qualche passo avanti lo evidenzia anche Cesare Maffeis, presidente dell’associazione Case di riposo bergamasche: «Un primo passo per venirci incontro Regione Lombardia l’ha fatto: in una delibera appena approvata, il Pirellone riconosce alle Rsa la quota di 145 euro al giorno per gli ospiti con sintomatologia Covid assistiti nei mesi scorsi. È chiaro che è meglio di niente. Ma non è certamente una cifra che ci fa dormire tranquilli. Anche perché Regione dichiara di volerla corrispondere solo per i posti a contratto, e non per i degenti in regime privato accreditato. E chi ci rimborsa quei costi? Nessuno. Non è corretto che il mondo sociosanitario sia trattato in questa maniera: si stanno dando fondi per investire su tutto, ma si continua a lesinare sul nostro settore. È profondamente ingiusto. Anche perché le difficoltà, adesso, iniziano a ripercuotersi a cascata: ci sono Rsa in estrema difficoltà che stanno interrompendo tutti i contratti a termine dei propri dipendenti». Un allarme che i sindacati bergamaschi condividono a pieno. «Il grido che si alza dalle case di riposo è trasversale. Ed è uno solo. Non ce la fanno a reggere – afferma Orazio Amboni della Cgil di Bergamo -. Il crollo degli accessi e delle rette rende la situazione insostenibile. E questo comporta che, ad andarci di mezzo, ci sono i lavoratori, non riconfermati o messi in cassa integrazione. Ma anche le famiglie, su cui inevitabilmente ricadranno le difficoltà, quando le Rsa si vedranno costrette ad alzare le rette per appianare i buchi di bilancio. E infine a perderci sarà anche la qualità del servizio: già i dipendenti delle case di riposo sono pochi, se poi verranno tagliati ulteriormente per contenere i costi il danno andrà a ricadere sugli anziani ricoverati».

Le visite su appuntamento

Fra le novità introdotte negli ultimi provvedimenti adottati dal Pirellone c’è un allentamento delle limitazioni per le visite dei familiari agli ospiti delle Rsa, consentite soprattutto «all’aria aperta, quando possibile, e con distanziamento». Visite che tuttavia devono essere regolamentate con istruzioni messe nero su bianco nel piano operativo che ogni casa di riposo è chiamata a redigere: in gran parte dei casi le procedure si traducono in visite su appuntamento, della durata di 15 o 30 minuti, spesso dietro a divisori quando non è possibile effettuarle in aree esterne. Ed è su questo aspetto che invita a intervenire la Cisl di Bergamo: «Anche nel caso della regolamentazione delle visite si lascia, ancora una volta, la responsabilità in capo a ciascuna struttura – è il commento di Caterina Delasa -: noi da mesi riceviamo lettere di famiglie esasperate per la difficoltà nel vedere i propri cari. Bisogna che si lavori anche su questo fronte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA