Signorelli: inevitabile lo stop delle scuole
«Prossime settimane ci giochiamo tutto»

Carlo Signorelli (Università Vita-Salute San Raffaele) tratteggia lo scenario della terza ondata in Lombardia.

Di qui alle prossime settimane, «ci giochiamo tutto». Il tentativo di frenare la terza ondata, la messa in sicurezza del territorio attraverso la progressione delle vaccinazioni, il contenimento della mortalità. Per questo era necessario prendere delle decisioni rapide e forti, anche sulla scuola. E ha inciso in particolare un dato, nelle valutazioni della Regione: cioè le ventimila persone tra studenti e insegnanti già in quarantena in tutta la Lombardia. Per Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e componente del Comitato tecnico-scientifico regionale, «siamo in una terza ondata che ha una differenza rispetto alla seconda: se la situazione dell’autunno era più omogenea a livello temporale, questa nuova ondata è diversificata, sfasata».

Cioè?

«Ci sono aree in cui l’ondata è in fase più avanzata, penso a Brescia che potrebbe essere già al picco, e altre in cui la crescita stava iniziando nei giorni scorsi. In questa situazione sfasata, l’adozione di misure omogenee per tutto il territorio lombardo dovrebbe preservare parzialmente le aree in cui l’ondata era da poco partita».

Come legge lo scenario di Bergamo?

«È complesso. Nei fatti ha avuto una seconda ondata molto limitata. La terza invece la sta vivendo davvero, e si lega alla situazione di Brescia. Partendo da Bergamo può essere utile fare un ragionamento legato all’Rt, l’indicatore a cui tutti guardano».

In quali termini?

«Dato che si partiva da un numero di casi molto contenuto, l’Rt è diventato rapidamente alto. A Bergamo e in tutta la Lombardia, però, si è poi arrivati a numeri importanti. E questo ha indotto a prendere delle contromisure».

La terza ondata è caratterizzata dalle varianti, Brescia ne è l’emblema. Ma com’è stata possibile, questa proliferazione?

«Perché la variante inglese circolava fortemente in Veneto, e Brescia è una provincia di confine. Già a gennaio la variante circolava, ma non la si è cercata sino al 5 febbraio, quando l’Istituto superiore di sanità ha avviato una specifica indagine. Per fare un parallelo, è stato come a gennaio del 2020: il Sars-CoV-2 già circolava, ma non lo si cercava».

Nonostante la grande crescita, se si guarda all’incidenza Bergamo resta tra la province lombarde con i valori più bassi. È ancora l’effetto dell’immunità?

«Sicuramente l’immunità maturata nella prima ondata ha fatto da scudo nella seconda ondata. Ora però comincia a essere passato un anno dai primi contagi, e bisogna capire se effettivamente la “memoria” c’è ancora. Siamo abbastanza sicuri che l’immunità duri almeno sei mesi, ma sarebbe opportuno avviare un’indagine per capire la situazione a un anno di distanza. Risultano casi di reinfezione, ma senza conseguenze gravi».

La Regione, ancor prima della cabina di regìa nazionale, ha deciso il passaggio in arancione rafforzato. Su quali basi?

«Le singole zone rosse o arancione rafforzato stavano diventando decine, e a quel punto non aveva senso proseguire con una differenziazione. Noi come Cts regionale diamo dei pareri dal punto di vista scientifico, l’adozione delle misure spetta al decisore politico: in quel momento, sembrava più logico andare a chiudere per preservare quei territori in cui l’ondata ancora non si era innescata con potenza».

Le scuole restano tema dibattuto: c’è o no un legame con l’aumento dei contagi?

«La sensazione è che non sia l’ambiente scolastico in sé a portare al contagio, ma tutto ciò che sta intorno, prima e dopo le lezioni. Ma quando hai un alunno infetto devi mettere in quarantena l’intera classe, e avere ventimila tra studenti e insegnanti in quarantena in tutta la Lombardia è un numero spaventoso: bisognava interrompere le lezioni in presenza per un momento, azzerare tutto e ricominciare, sperando nel frattempo di aver vaccinato più persone e che la circolazione del virus scenda».

Da ottobre, nelle scuole si vive uno stop-and-go continuo.

«Personalmente, sono convinto che le ultime due ondate si siano innescate dalle scuole. La seconda ondata si è avviata circa quindici giorno dopo il ritorno tra i banchi. Questa nuova fase epidemiologica si è aperta poco dopo la ripresa di tutti i cicli d’istruzione dopo fine gennaio. Si può non aderire a questa opinione, si può affermare che le scuole in presenza siano indispensabili: si fa una scelta politica e si valutano i costi e i benefici. Però non si possono ritenere tutti i servizi indispensabili e farli tutti proseguire, altrimenti non si arriva a delle misure: occorre mediare. La curva dei ventimila tra studenti e insegnanti in quarantena è reale, non inventata».

Quando vedremo il picco di questa curva?

«In tutto il mondo e in tutte le ondate, la dinamica porta ad avere un picco tra la quinta e la sesta settimana dall’inizio della crescita e un esaurimento intorno alla nona-decima. Se è partita a metà febbraio, c’è da aspettarsi l’apice intorno al 20 marzo. Speriamo che grazie alle misure prese possa essere più basso delle aspettative. Se le varianti non complicano ulteriormente lo scenario e se la campagna vaccinale prosegue col piede giusto, può esserci una prospettiva di cauto ottimismo. Ma in queste settimane ci giochiamo tutto».

I decessi intanto stanno tornando a salire.

«Sì, anche se sembra in maniera più contenuta rispetto alle prime due ondate. I primi effetti della vaccinazione sulle persone più anziane, le più fragili, dovrebbero determinare una riduzione dei decessi: se a oggi in Lombardia abbiamo somministrato la prima dose a circa 80 mila ospiti delle Rsa e 110 mila over 80 su un totale di circa 700 mila, vuol dire aver iniziato a mettere in sicurezza più di un quarto della platea più sensibile».

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