Tiriamo dritto
Ma fino a quando?

Speriamo che non finisca come nella storiella del tizio che precipita da un grattacielo e che al trentesimo piano pensa: «Fin qui tutto bene». Eppure in questo tirar dritto del governo di fronte agli allarmi sull’andamento dell’economia italiana un po’ di apprensione c’è. Tiriamo dritto, d’accordo, non ci facciamo intimidire da nessuno. Ma se prima o poi troviamo il muro? Non si sa da dove cominciare per indicare le apprensioni e i «warning» degli organismi internazionali sull’andamento dell’economia italiana.

Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si dice fortemente preoccupato e auspica ulteriori sforzi da parte del nostro Paese per favorire la crescita. L’Ocse , l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che fa capo ai 35 Paesi più industrializzati, parla di economia italiana «ufficialmente in stallo» e di scelte di governo sbagliate a causa della riforma delle pensioni (secondo l’organismo che ha sede Parigi la quota 100 crea disparità tra generazioni) e del reddito di cittadinanza (spinge la gente a non lavorare).

Anche Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, ci descrive come l’ombelico del mondo di una recessione europea, a sua volta dentro una situazione del commercio mondiale molto incerta e vulnerabile per via della guerra dei dazi dichiarata da Trump a Cina e Unione, della Brexit e di altri fattori finanziari globali. Per la numero uno dell’Fmi non è detto che nel secondo semestre di questo 2019 arrivi l’auspicato «rimbalzo» della crescita. Preoccupano per la Lagarde Italia e Germania, le due maggiori potenze manifatturiere europee, che accusano perdite di colpi molto importanti sul piano dell’export.

Agli organismi internazionali si aggiungono i dati che vengono dall’interno. Bankitalia – la più «gentile» - ha parlato di rallentamento. Confindustria ha ufficialmente annunciato la «crescita zero» per il 2019 e un Pil in negativo per il 2020 in mancanza di riforme strutturali e soprattutto riguardanti l’apertura di nuovi cantieri. Mentre l’Istat ci dice che la disoccupazione è aumentata dal 10,5 al 10,7 per cento, con un calo di 14 mila occupati. L’effetto Jobs Act è ormai esaurito. E il governo come reagisce a questi allarmi? Come ha sempre fatto: accusando il termometro senza curarsi troppo della febbre o fingendo che i tremiti siano causati da qualcos’altro. Se il premier Giuseppe Conte manifesta il suo «dissenso» e annuncia un evanescente «decreto crescita» (basta la parola) tutto investimenti e sviluppo, il ministro dell’Economia Tria, nel mirino dei Cinque Stelle per i rimborsi ai clienti delle banche truffati, sorride alle telecamere dei Tg e tace.

Quanto ai due leader delle forze di maggioranza, nulla di nuovo sotto il sole (in verità un sole cupo, assai coperto dalle nuvole di un’imminente recessione). Il capo dei Cinque Stelle Luigi Di Maio tuona all’indirizzo di Fmi e Commissione europea: «L’austerity se la facciano a casa loro». Quanto a Matteo Salvini, il capo della Lega dichiara nel solito tweet tutta la sua distratta indifferenza: «Le analisi dell’Ocse mi scivolano addosso». Eppure, secondo gli analisti dell’Ocse, il debito pubblico continua a crescere, le riforme assistenziali non compensano la crescita e gli interessi crescono. Ci vorrebbe un freno e soprattutto un dirottamento delle risorse economiche verso una detassazione del cuneo fiscale e dei redditi più bassi per favorire investimenti e riaccendere il circolo virtuoso consumi- produzione-occupazione.

Ma il problema è che siamo in campagna elettorale (come sempre) in vista delle europee e nessuno si arrischia ad annunciare provvedimenti restrittivi. Abbiamo fatto salire la spesa pubblica senza impiegarla in provvedimenti keynesiani di sviluppo. Che è come se il tizio che precipita dal grattacielo cercasse di arrestare la caduta tenendosi per i capelli, come il barone di Munchausen. Arriva il marciapiede, arriva…

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