Una donna alla guida
della Consulta, bel segnale

«Giustizia e mito» è il titolo di uno dei libri più recenti di Marta Cartabia, eletta ieri all’unanimità presidente della Corte costituzionale. Il libro – scritto insieme a Luciano Violante – prende le mosse dal mito di Antigone; dal dissidio tra imperativo morale e legge positiva, tra giustizia e diritto. Temi che sembrano una sorta di viatico per la donna chiamata a guidare l’organismo che ha il compito di garantire che le leggi non violino la Costituzione. A norma dell’articolo 134 della nostra Carta fondamentale, la Corte costituzionale ha, come primo, il compito di «giudice delle leggi». Essa iniziò il suo percorso il 23 gennaio 1956, otto anni dopo l‘entrata in vigore del nuovo ordinamento costituzionale, sotto la guida di Enrico De Nicola, che era stato il primo presidente della Repubblica.

Nei decenni iniziali il compito quasi esclusivo della Corte fu quello di rimuovere dall’ordinamento giuridico le leggi che fossero in contrasto con la Costituzione. Compito fondamentale, ma che non può essere esercitato di iniziativa, ma soltanto – come si dice in gergo giuridico – in via «incidentale». Occorre che un giudice – nel corso di una causa – avanzi l’ipotesi della presunta illegittimità di una norma di legge. Agisce, quindi, di rimessa, su impulso di un giudizio in corso.

Nel tempo gli spazi di intervento della Corte costituzionale si sono considerevolmente ampliati. Sempre più sovente sue pronunce sono state «additive», poiché la Corte – oltre a dichiarare incostituzionale una legge o una parte di essa – è intervenuta indicando al Parlamento possibili soluzioni, per scongiurare il rischio di norme a loro volta censurabili sul piano della legittimità costituzionale. Questa tendenza è stata criticata, con argomenti di vario genere, da più parti. L’elemento centrale di tali posizioni critiche è la possibile invadenza delle «Corti» a danno dei poteri ai quali spetta legiferare: il Parlamento e, su delega di esso, il Governo. In realtà, sembra plausibile ritenere che tale andamento sia piuttosto il frutto della crescente confusione legislativa e del degrado progressivo della qualità delle leggi. Non raramente vengono approvate leggi delle quali lo stesso Parlamento comprende le lacune e le incongruenze. Ma la «ragione politica» ha quasi sempre la meglio sulla «legalità».

A presiedere la Corte è per la prima volta una donna. Ciò fa notizia, ma non meno dovrebbero far notizia altri elementi di questa elezione. In primo luogo la competenza. Marta Cartabia, docente di diritto costituzionale, è stata, a sua volta, allieva: suo maestro un ex presidente della Corte (Valerio Onida). Una circostanza casuale, ma che sembra delineare un tracciato di continuità nel cambiamento. La neo-presidente è una studiosa eminente di ordinamenti comparati: ne è testimonianza un altro suo libro, «L’Italia in Europa». Nell’epoca della globalizzazione e della transnazionalità dei rapporti economici e sociali la decifrazione del rapporto fra trasformazioni politico-sociali e ordinamenti giuridici diventa un imperativo categorico per tenere salde le basi degli Stati di diritto e per far argine contro i fenomeni che minacciano l’assetto delle democrazie. La competenza e l’esperienza sono elementi indispensabili per far fronte alle sfide dell’attuale momento storico. L’elezione di Marta Cartabia è senza dubbio un segnale positivo in tale senso. Ancor più lo è il fatto che essa sia stata unanime e abbia per una volta evitato la triste impressione di lotte intestine all’interno di una Istituzione.

Dopo la sua nomina, la neopresidente ha dichiarato di ritenersi onorata di «fare da apripista», in quanto prima donna chiamata a guidare l’istituzione alla quale spetta di garantire la legittimità delle norme varate dagli organi rappresentativi della volontà popolare. Il suo mandato non sarà lungo. Soltanto nove mesi. È auspicabile che la sua presidenza sia anch’essa orientata ad «aprire la pista» di un corretto equilibrio tra i poteri costituzionali. Ne abbiamo un reale bisogno.

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