Una malattia acceca i camosci
I primi 4 casi in alta Val Seriana

La cheratocongiuntivite può colpire anche gli stambecchi, da dieci anni non c’erano focolai. Gli animali colpiti rischiano di morire.

Dopo un periodo di apparente latenza, la patologia oculare della cheratocongiuntivite è tornata ad interessare alcuni ungulati presenti sulle montagne bergamasche, in particolare tra l’alta Val Cerviera e la vicina Valle del Bondione. Come conferma l’ampia documentazione letteraria, frutto di studi decennali delle popolazioni presenti su tutto l’arco alpino, si tratta di una malattia contagiosa che può colpire gli animali appartenenti alla famiglia dei bovidi, quindi stambecchi e camosci, ma non quella dei cervidi (cervi e caprioli).

La causa dell’infezione è da ricercarsi nella presenza del batterio Mycoplasma conjunctivae, il quale trova facile diffusione nelle specie che conducono vita di gruppo. Questo può essere trasmesso tramite contatto diretto, oppure veicolato da insetti (in particolare mosche), dal vento o più semplicemente rimanere sugli steli d’erba una volta urtati da un animale infetto.

I sintomi si differenziano a seconda dello stadio evolutivo della malattia e possono quindi andare dall’infiammazione dell’occhio ad una progressiva opacizzazione della cornea fino, nei casi più aggressivi, alla sua lacerazione ed alla perforazione del bulbo oculare. In quest’ultimo caso si arriverà alla cecità dell’animale e quindi alla morte a causa delle tragiche conseguenze dovute alla caduta da rocce e dirupi.

Proprio nell’ottica di una profilassi sanitaria mirata gli agenti della polizia provinciale di Bergamo, che assieme ai guardiacaccia della riserva faunistica del Barbellino- Belviso stanno tenendo costantemente monitorato l’evolversi della situazione, hanno provveduto nelle scorse settimane ad eseguire la rimozione di quattro camosci non più recuperabili e destinati quindi a subire una lenta agonia. La normale prassi prevede il costante monitoraggio della popolazione poiché è stata infatti riscontrata, nella maggioranza dei casi, una progressiva regressione della malattia ed un contestuale potenziamento immunitario degli individui colpiti.

Come già accennato il fenomeno non è nuovo ma si manifesta con una certa ciclicità. Sulle nostre montagne l’ultimo focolaio di rilievo venne registrato una decina di anni fa ed interessò, in maniera anche più estesa, numerosi stambecchi che vivevano tra il rifugio Merelli al Coca e le valli del Brunone.

La situazione sanitaria attuale si presenta però in modo diverso, tanto per la minor estensione dell’infezione quanto per la tipologia di animali coinvolti, in prevalenza camosci. Al contenimento di questo focolaio potranno sicuramente contribuire le nevicate in quota poiché limiterebbero notevolmente gli spostamenti degli animali e le conseguenti interazioni sociali con individui ancora sani.

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