Vaccino, dose unica per i guariti
I paletti nella circolare del ministero

C’è il via libera del ministero della Salute che sul tema si è espresso con una circolare firmata dal direttore della Prevenzione, Gianni Rezza: «È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose, purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno tre mesi di distanza dall’infezione e preferibilmente entro i sei mesi dalla stessa».

Una sola dose di vaccino per chi è guarito: c’è il via libera del ministero della Salute, che sul tema si è espresso con una circolare firmata nelle scorse ore dal direttore della Prevenzione Gianni Rezza. Un nullaosta che potrà avere ricadute anche sulla campagna di immunizzazione bergamasca: ricadute non risibili, soprattutto in una fase in cui le dosi di vaccino scarseggiano. Dal ministero non è arrivato però un lasciapassare incondizionato: perché i guariti possano ricevere un’unica dose devono verificarsi alcune condizioni. Scrive il direttore Rezza nella circolare: «È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino nei soggetti con pregressa infezione da Sars-CoV-2 decorsa in maniera sintomatica o asintomatica, purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno tre mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i sei mesi dalla stessa». Calendario alla mano: se un cittadino guarito riceve l’appuntamento per la vaccinazione nel mese di marzo, può avere una sola dose ammesso che il tampone positivo sia stato accertato fra settembre (entro i sei mesi dall’infezione) e dicembre (ad almeno tre mesi di distanza). E secondo i dati diffusi da Regione Lombardia, sono 12.800 i bergamaschi a essersi ammalati di Covid-19 proprio fra settembre e dicembre dello scorso anno. Il che si traduce in un potenziale di 12.800 dosi «risparmiate» solo per la campagna del mese di marzo, ammesso che alla circolare ministeriale venga dato seguito sin da subito, s’intende.

Ci sono però altri paletti introdotti dal ministero alla dose unica: quest’opzione viene preclusa a tutte le persone in «condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici – spiega la nota firmata da Rezza -. In questi soggetti, non essendo prevedibile la protezione immunologica conferita dall’infezione da Sars-CoV-2 e la durata della stessa, si raccomanda di proseguire con la schedula vaccinale proposta». E chi ha solo il sospetto di essersi ammalato di Covid-19, senza l’esito di un tampone o di un test sierologico a certificare l’infezione? La linea del ministero sembra quella di rispettare la doppia dose, pur affidandosi ai medici vaccinatori incaricati di occuparsi dell’anamnesi: «In assenza di questa evidenza di positività al tampone, si raccomanda che l’informazione anamnestica relativa a una pregressa infezione venga raccolta nel modo più dettagliato possibile – scrive il ministero -. Inoltre l’esecuzione di test sierologici non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale». C’è poi un ulteriore tema da mettere sul tavolo, parlando di dose unica. Ed è quello delle varianti. La certezza matematica che chi ha prodotto anticorpi riesca a neutralizzare tutte le varianti (attuali e future) del virus non c’è. E difatti il ministero, precisa: «Tali raccomandazioni potrebbero essere oggetto di rivisitazione qualora dovessero emergere e diffondersi varianti di Sars-CoV-2 connotate da un particolare rischio di reinfezione».

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