«Vaccino, bene l’accordo ma serve tempo
Pazienti dimessi, il 30% ha conseguenze»

Marco Rizzi, direttore Malattie infettive al Papa Giovanni: più sicuri sulle scorte, ma sperimentazione ancora in corso. «Cauto ottimismo, casi meno gravi». Danni da virus: «Molti shock traumatici, come in guerra».

«Un importante gesto che serve come rassicurazione per tutti. E certamente una mossa strategica per non farci trovare impreparati, come purtroppo è accaduto all’inizio della pandemia. Ma dobbiamo sapere che l’arrivo del vaccino non è proprio dietro l’angolo». Così, con entusiasmo prudente, Marco Rizzi, direttore di Malattie Infettive all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo reagisce all’indomani dell’annuncio del contratto europeo con l’Italia capofila (e insieme a Germania, Francia e Olanda) sottoscritto dal ministro Roberto Speranza con l’azienda farmaceutica AstraZeneca, che garantisce un approvvigionamento di 400 milioni di dosi «da destinare a tutta la popolazione europea».

Quindi abbiamo il vaccino assicurato?

«Calma, questo contratto è una garanzia per l’Italia, ma non ci sono ancora i risultati dell’ultima fase della sperimentazione del vaccino Oxford e di quelli delle altre aziende impegnate nella ricerca. Ci sono almeno 15 progetti avviati. Certo, questo contratto ci mette tutti nella condizione di guardare con maggiore ottimismo al futuro. Ma certezze sui tempi per l’arrivo del vaccino non ci sono ancora, anche se grazie a questo accordo, se e quando questo vaccino sarà commercializzato, sappiamo che avremo le scorte necessarie per tempo. Saperlo, quando il virus non è ancora scomparso, è importante».

E se va a finire come con la Sars, che è scomparsa prima dell’arrivo di un vaccino?

«L’epidemia di Sars, anche se causata sempre da un coronavirus, non è paragonabile a questa pandemia. I casi di infezione da Covid 19 nel mondo sono decisamente superiori a quelli registrati con la Sars: qui ora possiamo avere la percezione che il virus abbia allentato la presa, ma ci sono molti Paesi in cui ci si trova in condizioni peggiori e più gravi di quelle in cui si trovava l’Italia, la Lombardia e Bergamo in particolare, solo poco tempo fa. Avere un vaccino ora o anche dopodomani, diventa importante: i casi di Covid sono ancora moltissimi».

Non siamo fuori dall’incubo.

«L’Europa, l’Italia stanno meglio. Altrove non è così. Per quanto riguarda la Lombardia, la Bergamasca direi che possiamo permetterci un cauto ottimismo. Ma insisterei sulla cautela».

Cautela anche nel pensare che il virus sia meno cattivo?

«Parlo con i fatti: le misure di isolamento hanno funzionato, lo dicono i numeri. E i casi che emergono vengono intercettati con maggiore rapidità. E con una situazione del sistema sanitario migliore: si è pronti a intervenire, non travolti da uno tsunami come è accaduto a febbraio-marzo. Qualche paziente critico, grave, lo vediamo ancora, ma è anche vero che la maggior parte dei casi emersi ora riguarda pazienti che vengono sottoposti a indagine Covid perché arrivano in ospedale per altre patologie. Ma in una pandemia bisogna saper allargare lo sguardo: in altri Paesi del mondo invece la situazione non è questa, è decisamente molto, molto più grave. E quando si parla di pandemia nessuno è al sicuro, il virus non rispetta le frontiere».

L’autunno arriverà in un baleno. Ci sarà una nuova ondata?

«Non possiamo saperlo ora, ma guardando il comportamento del virus e lo stato dei contagi globali è ragionevole non escluderlo».

Per questo si dice che sarebbe opportuna una vaccinazione antinfluenzale a tappeto?

«Senza dubbio sapere che la popolazione è protetta contro l’influenza aiuterà a discernerne tra altri tipi di infezioni, e quindi a diagnosticare prima casi di Covid. Il vaccino antinfluenzale è comunque fondamentale, soprattutto per le categorie a rischio. E per gli anziani, che sono stati il principale bersaglio del Covid».

È vero che le persone vaccinate contro l’influenza potrebbe essere state più protette dal Covid?

«È un’ipotesi circolata. Allo stato attuale non ci sono riscontri scientifici che possano avallare questa ipotesi. Molte cose vanno studiate di questo virus, dei suoi effetti, di eventuali strumenti di protezione».

Danni da Covid: il Papa Giovanni XXIII ha aperto ambulatori alla Fiera per valutare la condizione clinica dei dimessi, avete uno studio in corso. Cosa sta emergendo?

«Di quasi 2.400 pazienti che per sintomi Covid hanno avuto almeno un accesso in ospedale a oggi ne abbiamo visti 300. A un mese, due dalla guarigione la maggioranza dei casi necessitano soprattutto di riabilitazione, molti per recuperare da lunghi periodi in Terapia intensiva, ma anche di supporti psicologici, per depressione e stress da shock traumatico. Come chi è stato in guerra. E il 30% dei pazienti che abbiamo valutato ha ancora problemi respiratori, diversi i casi di persone con problemi cardiaci e neurologici. Andranno rivalutati, per poter stabilire se queste complicanze siano o no danni cronici o se il recupero avviene lentamente, ma avviene. Siamo agli inizi, anche sugli studi post Covid. Intanto, ripeto, guardiamo al futuro prossimo con cauto ottimismo. Ma anche con responsabilità e prudenza: sul virus l’unica certezza è che c’è».

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