Blutek cosmopolita: da Gorle impianti per le big company

NICCHIA VINCENTE. L’azienda è tra le poche al mondo che realizza installazioni per le società petrolifere. Trenta giovani dipendenti: in ufficio si parla inglese.

Il tavolo è lungo, tanto da far fatica a riconoscere le persone che stanno alle estremità opposte: da una parte c’è il cliente, una «big company» dell’oil & gas, con decine di persone a rappresentarla, dall’altra il team Blutek, composto dal titolare e da un gruppo di giovani, buona parte dei quali under 30, buona parte dei quali stranieri. A loro spetta il compito di negoziare i termini della commessa con compagnie tipo Saudi Aramco e Shell. La sproporzione - in termini di dimensioni - è enorme, ma non le competenze.

Ecco perché Danilo Viganò, fondatore - insieme alla moglie Cristina Modolo - e presidente della Blutek, definisce la sua creatura una «micro multinazionale»: «L’organizzazione è quella di una grande azienda focalizzata sull’engineering, ma con numeri più contenuti». Con base a Gorle, Blutek dal 2002 progetta e realizza impianti di media dimensione per la produzione di aria compressa, azoto e ossigeno necessari al funzionamento di impianti estrattivi, piattaforme off-shore e raffinerie. Per dare un’idea, dallo stabilimento di via Maestri del Lavoro gli impianti escono «spacchettati» e per il trasporto occorrono qualcosa come 12 camion.

Realtà di questo tipo, nel mondo, si contano sulle dita di una mano. E Viganò non nasconde che le proposte di acquisizione non mancano. Ma, «a meno che non ci sia un progetto industriale valido, non voglio cedere l’azienda». Per comprendere come una piccola realtà bergamasca sia riuscita a ottenere tanta visibilità in un settore così di nicchia bisogna tornare indietro di qualche anno. Viganò è fresco di diploma all’istituto tecnico quando il suo professore di educazione fisica, che gestisce un’attività in parallelo, gli propone di lavorare alla produzione di compressori industriali. E per Viganò quell’esperienza rappresenta il punto di partenza.

Che azienda è la Blutek

Oggi Blutek è una società da 13 milioni di fatturato, con l’obiettivo di raggiungere i 20 milioni entro il 2027. Gli impianti che produce hanno un valore che va dai 500 mila euro in su (ne sforna tra gli otto e i 10 l’anno) e rappresentano solo una piccola parte dei maxi impianti a cui sono destinati. Nel deserto, a temperature superiori ai 60 gradi centigradi, le installazioni possono raggiungere anche decine di chilometri, mentre dall’altra parte del mondo, nell’Artico, le piattaforme off-shore occupano spazi decisamente più contenuti. E a seconda della temperatura cambia anche l’utilizzo dei materiali. La società, per la sua particolare vocazione, realizza la totalità del suo giro d’affari all’estero, in particolare negli Stati Uniti, in Sudamerica, Medio Oriente e Nord Africa.

Una delle singolarità dell’azienda riguarda il personale: circa 30 dipendenti, pescati direttamente dal Politecnico di Milano, dalla Bicocca e dall’Università di Pavia, tra italiani, indiani, iraniani e ucraini. Motivo per cui in azienda si parla in inglese, fatto più unico che raro nella nostra provincia. «Abbiamo avviato delle collaborazioni con questi atenei - spiega Viganò - e i ragazzi in qualche caso arrivano da noi come tirocinanti e poi restano». È il caso dell’attuale operation manager, entrato in Blutek nove anni fa proprio come tirocinante. L’80% sono laureati in ingegneria e una quindicina sono donne. «Ho sempre apprezzato il modo in cui lavorano le donne, soprattutto per la loro precisione e perché reggono lo stress meglio degli uomini durante il progetto, iter che può durare anche un anno e mezzo», dice Viganò. In Blutek ricoprono cariche come quella di document controller, service manager o di proposer, chi cioè è incaricato di effettuare la selezione tecnica quando si predispone un progetto. La preparazione tecnica conta, ma gli aspetti caratteriali sono altrettanto importanti, considerando che nel faccia a faccia con i clienti - una sorta di Davide contro Golia - la pressione è forte, dato che si gestiscono progetti di qualche milione di euro. «Ogni impianto è come un vestito fatto su misura e il cliente è molto esigente», precisa Viganò.

Sui muri dell’officina - in cui lavora personale specializzato - spiccano due gigantografie di Bergamo Alta e Venezia e non è un caso. «Mia moglie - dice Viganò - che in azienda è general manager, è veneziana». E la storia di Blutek è quella di un percorso a due: Viganò e la consorte si sono conosciuti nel 1997 alla prima fiera dell’Ice, l’Agenzia per il commercio estero, in Cina. «All’epoca studiava Lingue orientali a Venezia e si trovava in Cina per un’esperienza da traduttrice. La maggior parte dei traduttori si era buttata sugli stand dei grandi marchi italiani della moda e del design, mentre Cristina fu assegnata alla mia azienda». E da lì il matrimonio: nella vita e nel lavoro.

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