Brexit, il giorno della verità per l’Europa
Imprenditori bergamaschi preoccupati

Per l’Europa è un giorno cruciale. I cittadini del Regno Unito decideranno se rimanere o meno nell’Unione Europea. Il referendum «Britain exit», la «Brexit» chiama alle urne 46,5 milioni di persone dalle 7 alle 22 di giovedì 23 giugno.

Secondo i sondaggi la maggior parte dei cittadini britannici metterà la crocetta sulla casella “Remain”, per rimanere nell’Unione europea. Se vincesse il “Leave” anche le imprese della provincia di Bergamo dovranno fare i conti con pesanti conseguenze a causa della maggiore debolezza europea. Per dare qualche numero: secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat relativi al I trimestre 2016 e 2015, l’Inghilterra vale un interscambio da 9 miliardi all’anno per le imprese lombarde, 5 di export e 4 di import, su un totale italiano di 33 miliardi. Milano è prima con tre miliardi di scambi, con Bergamo, Varese e Brescia, con circa un miliardo, e Monza con oltre 600 milioni. Milano è prima con un import-export di circa 3,4 miliardi, seguita da Bergamo, Varese e Brescia, con oltre 900 milioni ciascuna, e Monza e Brianza con circa 650 milioni. Mantova (+25,3%) e Como (+22,7%) le province che crescono di più in un anno.

E gli imprenditori bergamaschi che cosa dicono? Per Silvio Albini, presidente del Cotonificio Albini, che tra i suoi marchi conta anche Thomas Mason e David & John Anderson, «se vincesse il “leave” sarebbe un gravissimo danno per la nostra azienda, che, oltre ai due brand inglesi, ha anche un ufficio commerciale a Londra», a sottolineare il forte legame con la Gran Bretagna. Albini evidenzia comunque che «il fatto di aver indetto un referendum su un tema così delicato mi pare una follia».

Spostando l’attenzione dal settore tessile-moda a quello metalmeccanico, le reazioni sono simili. Augusto Mensi, amministratore delegato della Lucchini Rs, spiega: «Ci preoccupa la difficoltà di capire gli effetti di un’eventuale uscita del Regno Unito dall’Ue sul lungo periodo. Quello che si può ipotizzare è un rallentamento dell’economia e più barriere in termini di scambi (di beni, capitali)». La Lucchini Rs è presente in Gran Bretagna con uno stabilimento a Manchester e uno a Doncaster, che complessivamente contano 360 dipendenti. A guardare il bicchiere mezzo vuoto, Mensi dice: «Se ci dovessimo trovare di fronte alla svalutazione della sterlina, significherebbe avere una svalutazione immediata anche dei nostri investimenti». E comunque «tutto ciò che porta instabilità non fa mai bene a nessun mercato».

Anche la Scame Parre tiene il fiato sospeso in vista della consultazione di oggi, perché, per quanto sia presente nel Paese con una filiale commerciale (dove lavorano una ventina di persone) a Tewkesbury, nel Gloucestershire, teme la svalutazione della sterlina. «Per chi come noi esporta in Gran Bretagna, se la sterlina, come si ipotizza, fosse svalutata del 20%, la filiale inglese, rifornendosi dalla casa madre italiana, per stare sul mercato dovrebbe aumentare i prezzi, o viceversa, li dovrebbe diminuire la casa madre - precisa il direttore generale, Stefano Scainelli -. Sarebbero in questo caso avvantaggiati i nostri competitor al di fuori dell’area Euro».

Non avverte la febbre da Brexit, invece, la Same Deutz-Fahr di Treviglio: «Per noi che in Regno Unito abbiamo una filiale commerciale a Barby, è ininfluente l’esito del referendum - dice il responsabile risorse umane e communication, Paolo Ghislandi -. Ad avere un certo impatto sarebbe però la svalutazione della moneta». Non resta che attendere.

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