Commissioni alte, solo un esercizio su 7 accetta i buoni pasto

I DATI. L’indagine della Federazione italiana pubblici esercizi: in quelli privati si arriva a punte del 18%. «Discriminazione insostenibile con il mercato pubblico». Dopo la pandemia i numeri assoluti tornano al 2019.

Commissioni per i buoni pasto che possono arrivare a picchi del 18%. E numeri che fanno riflettere: solo un esercizio pubblico bergamasco su sette accetta nel complesso i ticket, alla luce anche di spese e costi in aumento. Un salasso per bar, ristoranti, pizzerie, negozi di alimentari e grande distribuzione, costretti a pagare commissioni esose per accettare i buoni che i datori di lavoro privati acquistano per i dipendenti, mentre nel pubblico la commissione massima è fissata al 5%. Secondo le stime di Ascom Confcommercio Bergamo, sono poco più di 800 gli esercenti che dicono sì ai buoni pasto, circa il 15% su una platea di 5.216 pubblici esercizi di diverse tipologie, compresi alimentari e grande distribuzione.

Un quadro variegato da monitorare, anche se il numero degli esercizi che accettano i buoni è tornato a crescere dopo due anni difficili di calo. Il valore del mercato cresce anche a Bergamo grazie all’aumento dei lavoratori beneficiari e valore medio del buono. I beneficiari sono stimati in oltre 58.200 (dato 2022), in crescita di oltre mille unità rispetto al 2021. Il valore nominale dei buoni percepiti supera i 70,3 milioni di euro, in crescita di oltre 4 milioni sul 2021, con importo annuo di 1.207 per lavoratore (5,36 al giorno). Dopo i due anni pesanti della pandemia il mercato è rientrato quasi nella sua totalità ai valori del 2019 nel consumo tra bar e ristoranti (75%, pari a 52,7 milioni di euro nella Bergamasca), rispetto all’acquisto in negozio (25%, pari a 17,6). Ma il problema commissioni alte per i ticket privati resta insoluto, se confrontato con il provvedimento del 2022 che fissa al 5% il limite delle commissioni nelle gare pubbliche.

Privato, valore medio dell’11,1%

Un grido d’allarme che risuona anche nella Bergamasca, alla luce dell’indagine della Fipe-Confcommercio (Federazione italiana dei pubblici esercizi), che ha raccolto le testimonianze di un campione di oltre 300 esercizi che accettano, oltre a quelli pubblici, i buoni pasto di aziende private, con un questionario tra il 15 e il 30 maggio. Dal monitoraggio, che ha coinvolto anche i pubblici esercizi di Bergamo e provincia, si evince che solo per un’impresa su tre (33,4%) le commissioni sono inferiori al 10% e il 52,7% degli intervistati ha dichiarato di pagare tra l’11 e il 15%, mentre per il 13,9% si supera addirittura il 15. Il valore medio nel mercato privato è dell’11,1%. «Il campione della ricerca ha interessato numerose imprese bergamasche, che lamentano commissioni alte e una sperequazione insostenibile tra mercato pubblico e privato – ha spiegato il direttore di Ascom Confcommercio Bg, Oscar Fusini –. Il sondaggio, rappresentativo del territorio, mette in luce il problema della “ghettizzazione” del buono: il rischio vero è che si creino due modalità di servizio, a seconda del buono che uno presenta, incidendo sulla qualità del servizio stesso. Cioè, in prospettiva, la parte più qualitativa degli esercizi accetterà solo i buoni del mercato pubblico perché hanno una commissione del 5%; la parte meno qualitativa continuerà ad accettarli tutti, perché in difficoltà e il livello del servizio tenderà a peggiorare. Anche dal nostro territorio, sede di grandi aziende del settore privato, auspichiamo un intervento per equiparare i buoni del privato a quelli del pubblico e sanare una discriminazione».

Fusini: esenzione con valore certo

«Le soluzioni non mancano – aggiunge Fusini –. Dato che c’è un’esenzione, i buoni sono esenti da imposte e contributi, sarebbe opportuno che l’esenzione fosse data quando viene fissato un valore reale certo, quindi evitando sconti a monte, da parte degli emettitori, troppo alti alle imprese private». Capitolo Covid: «Con la chiusura di bar e ristoranti la spesa dei buoni è stata dirottata per lunghi mesi sui negozi e grande distribuzione. Rispetto al 2019 c’è ancora un 5% rimasto nella spendibilità della grande distribuzione e dei negozi. Capiremo nei prossimi mesi se il trend nelle modalità di consumo sia davvero definitivo».

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