Le vigne in quota: anche le Orobie avranno il loro vino

LA NOVITA’. Nel 2017 i primi impianti sperimentali in Val Taleggio, nel 2024 al via un progetto a Mezzoldo. E a Valbondione un vigneto a 900 metri di quota.

Andare di alpeggio in vigna: fantascienza o realtà? Il riscaldamento climatico cambia la produzione e il profilo organolettico del vino, ma allo stesso tempo mitiga le condizioni di zone un tempo inospitali per la vite. In Svezia, i vigneti sono cresciuti del 50% dal 2020, nel Regno Unito raddoppieranno entro dieci anni e in tutta Italia fioriscono vigne in altitudine, dall’Alto Adige all’Etna.

La Bergamasca non è da meno e la vite inizia a guadagnare quota anche sulle Orobie. La prima bottiglia, però, deve ancora vedere la luce. Oltre a rispondere alle sfide lanciate dal clima, i viticoltori esplorano i monti in cerca di nuovi obiettivi enologici e terreni «vergini», ma anche per ovviare alla minore disponibilità (e ai maggiori costi) degli appezzamenti nelle zone «classiche», sperimentare le varietà Piwi, recuperare il retaggio agricolo montano e riscattare superfici abbandonate. È il 2017 quando Agostino Quarenghi, architetto di Seriate, affiancato dal cugino Michele Bergonzi, professore universitario, decide di ripristinare un pascolo ricoperto dai rovi a Sottochiesa (circa 800 metri di altitudine) lasciato dai genitori. «In alcuni testi dell’Ottocento - racconta Quarenghi - si accennava della viticoltura in Val Taleggio, dove si sperimentavano successi alterni. Abbiamo iniziato con cento barbatelle su un terreno esposto a sud di matrice sabbiosa-limosa ricco di argilliti. Nel 2018 abbiamo deciso di puntare sul riesling e soprattutto sul gewurztraminer, che matura precocemente con buoni risultati. Ora siamo sopra al mezzo ettaro con 2.500 piante, tra cui alcune di pinot nero. È una scommessa: la produzione non è a regime e non siamo ancora sul mercato, ma siamo molto soddisfatti di aver raccolto uva matura e di aver vinificato esperimenti positivi».

Il progetto «Mezold Nature»

Sempre a Taleggio, a 1.000 metri di quota, il nano-vigneto sperimentale di solaris piantato nel 2017 da Nove Lune insieme a un privato: poche piante per osservare l’adattamento della varietà all’altitudine. Nel 2024 prenderà vita il progetto «Mezold Nature»: circa 3.600 metri quadrati di solaris a Mezzoldo, sulla via del Passo San Marco, a quasi 900 metri di altitudine (tra gli impianti più alti in Lombardia). L’iniziativa parte dall’azienda «Abitare la Natura» di Simone Sangalli, già alla guida dell’associazione «I Love Valbrembana», come primo passo di un villaggio ecosostenibile basato sull’agricoltura circolare. «Ci siamo chiesti - racconta Sangalli - se fare vino in alta valle potesse valorizzare la montagna. Le analisi hanno confermato la vocazione del terreno e, complice l’aumento delle temperature, si sono creati presupposti più favorevoli. L’ambiente alpino ci mette di fronte a condizioni estreme e rischi, ma è più salubre e intatto. Puntiamo a produrre uno spumante». In alta Valle Imagna, a Locatello, la vigna mista (circa 2.500 metri quadri) dell’azienda «Il Giardino della Frutta» è erede di una storia di produzioni famigliari oggi quasi estinta. Qui piante di rebo, merlot e cabernet in conduzione da tempo convivono con dei Piwi a bacca rossa, da cui si produce vino sfuso.

A poche centinaia di metri in linea d’aria, a 700 metri di altitudine, si trovano circa 1.000 metri quadrati di solaris dell’azienda «Mo.Ka» (sede a Pontida). «Mi affascina - spiega il titolare Alberto Panza - fare ritorno in spazi dove ripristinare l’agricoltura, su terrazzamenti che ospitavano orti e prati stabili: un ecosistema delicato che è un peccato abbandonare. Credo molto nel progetto, insieme ai proprietari del terreno, per sperimentare un modello agricolo che sappia ridare valore alla valle. L’idea, nata dall’enologo Matteo Manzoni, sta trovando conferme: lo sviluppo vegetativo procede speditamente».

I filari esordiscono anche nella piana di Clusone: Attilio Fantoni, imprenditore nel campo della carpenteria meccanica, nel 2022 ha messo a dimora 2.000 metri quadrati (muller thurgau e chardonnay) a sud del centro abitato, a quasi 600 metri di altitudine, e quest’anno ha replicato con 2.000 metri quadri (pinot nero e lagrein). In primavera, i produttori clusonesi diventeranno due. Andrea Sala, viticoltore di Cenate Sotto (azienda Pietramatta), pianterà una vigna di 3.700 metri quadrati in località Monte Crosio con varietà resistenti, per ottenere un metodo classico. «L’idea - racconta Sala - nasce come adattamento al cambiamento climatico, per trovare condizioni coerenti con la produzione di un vino con alta acidità, e per coltivare un terreno vergine, dove le colture non hanno già prelevato parte del patrimonio minerale del suolo». Secondo Sala, «la tendenza a salire di quota crescerà esponenzialmente. In altri territori è di attualità da anni: la mancanza di spazi nelle zone tradizionali, l’aumento delle temperature e la ricerca stilistica di fini bianchi più fini ne guideranno l’espansione». Si segnala inoltre un vigneto di solaris a 900 metri di quota a Valbondione, impiantato sette anni fa dalla famiglia Galizzi per produrre un metodo classico, e a Bossico. Ma anche di esperimenti falliti, di progetti restati sulla carta, e di rumors non sospetti: quelli per cui anche dei produttori dalle province circostanti stiano sondando il terreno delle valli orobiche.

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