«Più donne occupate e maggiore istruzione: così il Pil aumenta»

I DATI. Con un minor divario di genere, più politiche attive del lavoro e una maggiore istruzione universitaria, in Italia il Pil pro capite potrebbe crescere del 3,5% entro il 2050.

La previsione è dell’Ocse, che nel suo rapporto dedicato al nostro Paese si concentra sui piedi d’argilla del mercato del lavoro, mettendo in evidenza il peso dei Neet: i giovani che non studiano né cercano un impiego sono al 23%, un tasso inferiore solo a Colombia e Turchia. L’Ocse segnala anche il tema della partecipazione femminile al mercato del lavoro, che in Italia è ai livelli più bassi: si ferma al 52%, ben al di sotto della media dell’Ocse, nonostante i significativi aumenti registrati negli ultimi due decenni.

Gli ostacoli

Le cause sono molteplici. Primo, il lavoro di cura resta concentrato sulle donne. Secondo, gli stereotipi nel percorso educativo le spingono molto spesso fuori dai percorsi stem (quelli che poi rendono più semplice entrare nel mercato del lavoro con retribuzioni più alte). Terzo, esiste ancora un problema di politica fiscale.

Le studentesse sono spesso escluse dai percorsi «stem» che promettono stipendi più alti

Se da un lato è vero che il calcolo delle imposte in base al reddito individuale anziché quello congiunto del nucleo familiare, e la recente introduzione di un supplemento al sussidio per i genitori (Assegno Unico Universale) incentivano la partecipazione femminile al lavoro, dall’altro lato il sistema fiscale e previdenziale rimangono, in linea di massima, favorevoli soprattutto alle famiglie monoreddito. Ciò rispecchia in larga misura le prestazioni sociali subordinate al reddito del nucleo familiare e il credito di imposta del coniuge a carico, che dovrebbero essere invece gradualmente eliminate. Se l’occupazione femminile aumentasse di 1,5 punti percentuali, rileva l’Organizzazione di Parigi, entro il 2050 il Pil pro capite guadagnerebbe un altro 1,5% in più.

In Italia il tasso dei Neet è al 23%, inferiore solo alla Colombia e alla Turchia

Pochi laureati

Nel rapporto emerge anche la debolezza italiana sul fronte dell’istruzione terziaria. Per l’Ocse, aumentare il numero di iscrizioni all’università potrebbe far crescere il Pil pro capite dell’1,5%. «La quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni - scrive l’organizzazione - è la seconda più bassa dell’Ocse dopo il Messico, e molti neolaureati emigrano. Tra il 2011 e il 2021 l’emigrazione netta cumulata di neolaureati è stata di circa 110 mila persone». Malgrado alcuni progressi compiuti negli ultimi anni, la qualità delle università italiane si colloca dietro altri grandi Paesi europei, in particolare Francia, Germania e Regno Unito.

Ma sullo sviluppo pesa il fenomeno dei giovani che non studiano e non lavorano

Ma è sull’ampliamento delle politiche attive che dovrebbe concentrarsi la sfida dei prossimi governi, con un miglioramento che potrebbe valere da solo l’1% del Pil. L’introduzione dell’assegno di formazione che sostituirà il Reddito di Cittadinanza per le persone occupabili, potrebbe comportare risparmi di bilancio pari a circa l’1% del Pil sul breve termine ma «rischia di conseguire tali risultati a scapito dell’aumento della povertà dei percettori, in particolare di coloro che non possono accedere a una formazione adeguata o che hanno raggiunto la durata massima della prestazione».

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