5 Stelle divisi, ma è sì
Adesso l’ora del governo

Forse questa volta la votazione sulla piattaforma «Rousseau» ha avuto un filo di suspence in più. Nelle altre occasioni il voto dei militanti a cinque stelle ha sempre rispecchiato la volontà dei capi, Grillo, Di Maio e tutti gli altri. Cosa beninteso che è accaduta anche ora, ma con una certa battaglia: i sì al governo Draghi hanno sfiorato il 60% mentre i no si sono fermati a quota 40, non proprio una votazione bulgara come ai bei tempi. Dunque il M5S voterà a favore della fiducia all’ex banchiere europeo. Nel caos che caratterizza il M5S del post Conte, due schieramenti si sono dunque misurati. Da una parte Grillo e Di Maio, i vincitori, dall’altra Di Battista e Casaleggio jr, gli sconfitti da tempo in rotta di collisione con i cosiddetti «ministeriali». In terza posizione (pubblicamente favorevole al governo, in cuor suo contrario), sta Giuseppe Conte che stenta a trovare una collocazione che gli eviti il ritorno all’anonimato da cui proviene.

Per vincere, Grillo ha imposto un quesito che, senza neanche troppi sforzi di interpretazione, conteneva la risposta già nella domanda: «Volete voi un governo che porti avanti le battaglie del M5S compreso il ministero della Transizione ecologica?». Non esattamente un testo neutrale. Casaleggio ne aveva proposto un altro che invece induceva il votante a schierarsi per il no ma non l’ha spuntata. Tattiche. Come quella sulla data del voto più volte spostata a seconda della convenienza di quello o di questo.

Grillo, dopo la prolungata assenza, si è rimesso in campo e ha fatto pesare il suo essere il fondatore del movimento, quello in cui insomma tutti loro - ministri, viceministri, sottosegretari, parlamentari, dirigenti del sottobosco – devono letteralmente la vita. Ai malpancisti, a quelli che come Di Battista vedono in Draghi il nemico, il perfido banchiere, il rappresentante dei poteri forti e misteriosi, Grillo ha regalato un vecchio sogno dei verdi, quello di un unico ministero della Transizione ambientale che in qualche modo, vedremo quale, riassumerà i poteri oggi dispersi tra i ministeri dell’Ambiente, dei Trasporti e delle Infrastrutture. Pare, almeno così hanno detto i rappresentanti delle associazioni ecologiste ricevute da Draghi, che anche al presidente incaricato l’idea non dispiaccia; del resto ha messo il «green new deal» europeo tra i tre punti di riferimento fondamentali del programma del nuovo governo. Grillo se ne è impossessato e lo ha dato in pasto ai 70 mila militanti pentastellati chè almeno potessero vantarsi del risultato raggiunto.

Per non essere tacciato di tirchieria ligure, il comico genovese ha poi aggiunto anche una lunga lista di sogni che vanno dalla patrimoniale alla legge sul conflitto di interessi, sperando che Draghi ne raccolga qualcuno. Naturalmente chi tra i parlamentari non si assoggetterà alla volontà del popolo, ha detto Vito Crimi, ne subirà le conseguenze, cioè sarà sbattuto fuori. Che faranno i vari Toninelli, Lezzi e Morra che si erano tanto spinti a proclamare il loro «no» a Draghi sulle orme del leader Di Battista? Se chineranno la testa perderanno la faccia, se si ostineranno nella loro contrarietà si alzeranno dal posto a tavola (ma non dal seggio parlamentare, mantenuto finora da tutti i fuoriusciti o espulsi pentastellati: un vero reggimento).

Archiviato il voto su Rousseau adesso si apre la lotteria sui posti di governo. Che cosa voglia fare Draghi ancora non lo ha capito nessuno: i totoministri che si susseguono si alimentano della fantasia dei giornalisti e delle autocandidature degli smaniosi. Per i politici Draghi potrebbe lasciare libere soprattutto le seconde e terze file del governo, e le mille congreghe grilline sono pronte per non farsele sfuggire.

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