Afghanistan
oscurato
La vittoria
degli Usa

Solo il 2% degli afghani ha abbastanza da mangiare ogni giorno, secondo le Nazioni Unite. Nelle zone rurali, dove vivono i due terzi della popolazione, la peggiore siccità degli ultimi 30 anni aveva già lasciato i contadini disperati ben prima dell’arrivo dei talebani. Il Programma alimentare mondiale stima che siano 23 milioni le persone a rischio morte per fame. Quasi 9 milioni di bambini sono senza coperte e tre milioni privi di riscaldamento, con temperature che di notte scendono abbondantemente sotto i meno 12 gradi. L’Afghanistan è ancora oggi il principale fornitore di eroina al mondo.

E se continuerà ad essere lasciato a se stesso, lo Stato islamico, che già sta reclutando a man bassa e che colpisce quasi ogni giorno, tornerà a rappresentare un pericolo grave per l’Occidente. Ma i notiziari della sera dei network televisivi che contano in America - Abc, Nbc e Cbs, assieme fanno 4 volte gli spettatori raccolti da tutte le altre tv - tra il primo ottobre e il 25 dicembre hanno dedicato al Paese asiatico 21 minuti di programmazione, per un totale di 10 servizi. Solo due però dedicati al dramma umanitario, gli altri a iniziative benefiche negli Usa per i profughi afghani ospitati o a progetti sanitari cessati dopo la fuga da Kabul.

Non che i media italiani si distinguano nel racconto di quella terra martoriata. Ma almeno i giornali dedicano qualche raro e coraggioso reportage dall’Afghanistan. E c’è una differenza non di poco conto: furono gli Usa nell’ottobre 2001 a scatenare la guerra per abbattere il primo regime dei talebani, colpevole di ospitare Al Qaeda e Osama Bin Laden, responsabili degli attentati dell’11 settembre precedente in America. Il 29 febbraio 2020 siglarono poi gli scellerati accordi di Doha con gli studenti coranici, su iniziativa del presidente Donald Trump, confermati dal successore Joe Biden. Prevedevano il ritiro dall’Afghanistan delle truppe Usa (e a cascata quindi quelle alleate) entro il 31 agosto 2021. Ritiro che avverrà in modo precipitoso e disorganizzato. L’intesa prevedeva clausole non rispettate dai talebani, come una politica di pacificazione del Paese e la salvaguardia dei diritti umani della popolazione. Illusioni. In una recente audizione al Congresso, i generali del Pentagono hanno ricordato di aver suggerito invano alla Casa Bianca la presenza a Kabul di 5mila soldati americani, che avrebbe impedito agli studenti coranici di prendere il controllo della capitale e dell’aeroporto internazionale, nevralgici per la gestione dello Stato e per i collegamenti esterni.

E che dire del principale alleato di Washington? Il primo ministro britannico Boris Johnson è sotto attacco dell’opposizione in Parlamento non solo per il party organizzato durante il lockdown ma per aver dato il via libera nell’estate scorsa a un volo militare da Kabul per l’evacuazione di 150 cani e gatti accuditi da una ong di Londra, lasciando invece a terra collaboratori afghani dell’esercito di Sua Maestà, ora braccati dai talebani. L’operazione è stata caldeggiata dalla moglie del primo ministro, fervente animalista. La notizia è comparsa tra le righe di qualche quotidiano italiano ma forse avrebbe meritato il titolo.

Se l’Amministrazione Biden ha scommesso che il ritiro dall’Afghanistan sarebbe stato brutto e traumatizzante ma però dimenticato in poco tempo, è sulla buona strada per vincere l’azzardo. Ma per come procedono gli accadimenti sul terreno (attentati dello Stato islamico, la miseria più nera, massicce violazioni dei diritti umani), la crisi tenderà a tracimare dai confini nazionali. Di questo passo prima o poi i notiziari dovranno tornare a occuparsi dei talebani e di un popolo flagellato. Per ora vale il silenzio. «No news is good news» recita un detto inglese. Nessuna notizia è buona notizia.

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