Afghanistan,
crisi mondiale

Una vittoria di Pirro? Troppo negativo. Una buona partenza? Troppo positivo. Il G20 speciale sull’Afghanistan organizzato dall’Italia si presta a valutazioni difformi e tutte legittime. È stato certamente un successo della nostra diplomazia riuscire a convocarlo e a tenere così alta l’attenzione sulla necessità di risposta collettiva alla crisi di un Paese che, oltre al brutale cambio di regime, al terrorismo e alle politiche dei talebani, ora è anche esposto a una crisi economica e umanitaria che rischia di travolgerlo. Ma è impossibile non notare che a questo G20 le nazioni sono arrivate e sono uscite in ordine sparso, senza aver elaborato un vero e concreto piano d’azione. Questo compito, in sostanza, come ha detto il premier Mario Draghi in conferenza stampa, verrà affidato all’Onu, come spesso capita derubricato a gigantesca organizzazione umanitaria.

D’altra parte il quadro internazionale non poteva sollecitare eccessivi ottimismi. La Cina, che già interpreta il G20 come un forum economico e non politico ed è in una fase di confronto serrato con molti dei Paesi che ne fanno parte (Regno Unito, Usa, Giappone…) per Taiwan e non solo, era presente pro forma con il ministro degli Esteri Wang Yi. La Russia si era ancor più disimpegnata delegando la presenza a Zamir Kabulov, inviato speciale di Vladimir Putin per l’Afghanistan. E Putin pochi giorni fa aveva espresso chiaramente il proprio pensiero, dicendo che al soccorso dell’Afghanistan devono andare i Paesi che l’hanno occupato per vent’anni. Gli Usa parlano direttamente con i talebani attraverso il Qatar, come dimostrano i colloqui svoltisi nei giorni corsi a Doha, ed è difficile che vogliano legarsi ad altre compagnie. È rimasta l’Unione europea, che ha deciso di stanziare un miliardo di euro in aiuti, mostrando come sempre di non avere problemi con il denaro purché non le si chieda di far politica.

Il disimpegno dei grandi non deve essere preso come un segno di disinteresse per l’Afghanistan. Al contrario: Russia, Cina e Usa sono tanto interessati da volersene occupare da soli. Degli Usa abbiamo detto: a Doha (dove tra poco arriveranno anche rappresentanti della Ue) hanno discusso dell’evacuazione delle decine di americani (e centinaia di collaboratori afghani delle loro truppe) che si trovano ancora a Kabul e, soprattutto, del terrorismo. Una delle condizioni per il ritiro americano era, appunto, che l’Afghanistan non diventasse mai più una centrale dello stragismo jihadista mirato contro l’Occidente. E gli Usa, prima di accordare qualunque forma di aiuto, vogliono essere ben sicuri che tale condizione sia rispettata.

Non tanto diverso, in fondo, l’atteggiamento di Cina e Russia. Entrambe guardano con attenzione all’Afghanistan, però… La Cina chiede che i «nuovi» talebani non ricomincino a fomentare l’indipendentismo dei musulmani cinesi uiguri nello Xin Yang come facevamo quelli «vecchi». La Russia non vuole scherzi ai confini con il Tagikistan e l’Uzbekistan, Paesi verso cui da lunghissimo tempo nutre un interesse strategico. Mosca, poi, ha organizzato per il 20 ottobre un incontro con Cina, Iran e Pakistan, invitando anche i talebani, proprio per discutere di Afghanistan. Quasi un’irrisione di questo G20, come dire: i Paesi che contano sono questi.

I grandi, insomma, vogliono campo libero per i propri interessi. Come al solito. Ma più in generale sembra prevalere un sentimento di sfiducia: nessuno vuole davvero mettere le mani in un Paese complicato come l’Afghanistan, di cui dopo vent’anni di presenza militare, umanitaria e politica la comunità internazionale è riuscita sì e no a grattare la superficie. E poi c’è l’evidente diffidenza che tutti provano nei confronti dei talebani, sospettati di manifestare buone intenzioni ora che devono fronteggiare le difficoltà, per praticare le vecchie politiche una volta che le difficoltà saranno superate. Chi pensa male fa peccato, ma è difficile dimenticare che i talebani avevano promesso di trattare con il Governo di Ashraf Ghani e di presentarsi a regolari elezioni, e poi abbiamo visto com’è andata. Insomma, ci sarà ancora un bel po’ di tira e molla politico che, inevitabilmente, andrà ad accrescere le sofferenze della popolazione che già ora, a poche settimane dall’inizio del nuovo corso, manca di acqua, riscaldamento e quattrini. E l’inverno è alle porte.

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