Aiuti dall’Europa
Margini di manovra

Il presidente del Consiglio Conte guarda alla teleconferenza del Consiglio europeo del 23 aprile come ad un appuntamento determinante non solo per l’Italia e la sua battaglia contro il coronavirus e le sue conseguenze, ma anche per il suo stesso governo. Per certi versi è stato lo stesso Conte a creare una situazione dalla quale per lui sarà difficile districarsi: continuare a ripetere «o eurobond o niente» e «l’Italia è pronta ad andare avanti da sola», e che in ogni caso «mai chiederemo l’intervento del Mes» lo ha posto in una condizione di trattativa piuttosto difficile perché priva di vie d’uscita.

Tanto è vero che il ministro dell’Economia Gualtieri – che ben conosce Bruxelles e i suoi riti – non condivide l’impostazione di Palazzo Chigi e vorrebbe toni più morbidi. Tant’è. In ogni caso sarà Conte, e non lui, a condurre la trattativa: le conseguenze del risultato cadranno soltanto sulla sua testa.

Perché il presidente del Consiglio si muove così? Perché è pressato da molto vicino dal movimento 5 Stelle per il quale il Mes è un argomento di cui neanche si può parlare. Una posizione assai simile a quella di Matteo Salvini («come andare dagli strozzini») e di Giorgia Meloni («piuttosto ridateci i soldi che abbiamo versato»). Non scalfiscono questa rocciosa opinione neanche le obiezioni di chi, come Prodi, osserva che i 36 miliardi del Mes subito disponibili per le spese sanitarie legate alla pandemia sono senza le normali condizioni del Meccanismo – quelle che insomma hanno strozzato la Grecia a suo tempo – per effetto del compromesso trovato all’Eurogruppo. «Sì ma dopo quel prestito, domani saremmo comunque chiamati a risponderne» dice Di Maio che evidentemente non si fida degli eurocrati dal momento che l’eventualità che lui evoca non sta scritta da nessuna parte: le condizioni restano solo per i prestiti «normali», dovuti cioè ad altre difficoltà di un Paese in crisi finanziaria.

La posizione del M5S sta creando una faglia nella maggioranza dal momento che, prima Matteo Renzi e poi Nicola Zingaretti condividono l’osservazione di Prodi (e di Monti): perché non prendere quei soldi ad interessi bassissimi? Tra l’altro su questa posizione converge anche Silvio Berlusconi che suggerisce a Conte di ammorbidire i toni e prendere quel che c’è, piuttosto che insistere per qualcosa che ancora è tutta da conquistare. Questa cosa sono le emissioni comuni del «Recovery fund» proposto dalla Francia, accennato nel documento dell’Eurogruppo e sostenuto dal fronte Sud dell’Unione e da una parte della Commissione europea: non solo dalla colomba Paolo Gentiloni («prima o poi ci arriveremo», ripete l’ex premier italiano non accorgendosi forse di citare una frase di dieci anni fa di Tremonti, Junker, Monti, Prodi e tanti altri) ma anche, e un po’ a sorpresa, da un falco come il vicepresidente della Commissione Dombroskis secondo il quale una qualche forma di solidarietà dovrà essere trovata di fronte ad una recessione così feroce come quella che si annuncia.

Chissà se questa posizione si farà strada: nel frattempo siamo fermi al «nein» della Cancelliera Merkel seguita dai suoi ascari olandesi, finlandesi e austriaci. Ecco perché sarebbe utile per Conte mantenersi un margine di manovra. Se la sua linea non passasse potrebbe mettere il veto sull’accordo, ma metterebbe l’Italia in un pericoloso isolamento, e se addirittura fosse «costretto» ad accettare il compromesso sul Mes verrebbe processato dai grillini e dalle opposizioni. Conte ne uscirebbe dunque assai indebolito: una condizione che lo metterebbe nelle mani di quanti vanno ripetendo che il suo governo non è adeguato al «dopo pandemia» con le sue necessità straordinarie e che serve qualcosa di ben più ampio con un premier più credibile agli occhi dell’Europa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA