«Allarme crescita zero». Con gli industriali
contro, il governo rischia

L’Italia – per dirla con l’ultimo libro dell’economista Marco Fortis – non merita una nuova crisi. Eppure è quello che ci sta arrivando tra capo e collo se non corriamo ai ripari. Dopo l’annuncio del «rallentamento» dell’economia italiana enunciato dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, anche Confindustria ha gelato le speranze del governo correggendo al ribasso le stime di crescita dell’esecutivo. Nel 2019 saremo a crescita zero (contro uno 0,9 per cento della stima precedente) e uno 0,4 nel 2020. Il governo di Giuseppe

Conte invece aveva indicato una crescita per il 2019 dell’1 per cento. Giusto per completare il quadro, il Fondo monetario internazionale ha stimato un aumento dello 0,6 per cento, mentre i francesi dell’Ocse – sempre molto severi con gli altri e mai con se stessi – ci hanno concesso uno striminzito 0,2 per cento. Pesa, secondo Confindustria, «una manovra di bilancio poco orientata alla crescita» oltre all’aumento del premio di rischio che gli investitori chiedono sui titoli pubblici italiani (significa che il nostro debito è meno sostenibile, dunque il rendimento deve essere più alto in quanto la «scommessa» è più rischiosa), e il progressivo crollo della fiducia delle imprese rilevato da marzo, dalle elezioni amministrative in poi. Immediate le repliche dei due principali esponenti del governo. Curiosamente, Salvini ha utilizzato un’espressione del rivale politico Matteo Renzi. Si tratta di «gufi» che verranno smentiti alla prova dei fatti, ha dichiarato il leader della Lega Nord. Quella di dar la colpa al termometro invece di riflettere sulla febbre è una specialità della politica. Il leader dei Cinque Stelle Di Maio ha invece fatto sue le preoccupazioni degli industriali italiani.

Dall’Asia il ministro dell’Economia Giovanni Tria non solo conferma i timori di una crisi ma addirittura teme che questa possa provocare «una crisi economica globale». Siamo diventati l’accendino del mondo. Noi che eravamo una delle prime potenze industriali del Pianeta. La revisione al ribasso delle stime contribuisce al peggioramento di tutti gli altri parametri macroeconomici della finanza pubblica. Il deficit crescerà al 2,6 per cento del Prodotto interno lordo (dal 2,1% del 2018), con un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto a quanto previsto a ottobre. Il debito toccherà nel 2019 quota 133,4 del Pil e 133,6 nel 2020. Secondo l’associazione delle imprese è concreto addirittura il rischio della recessione. «Nel 2019 la domanda interna risulterà praticamente ferma e una recessione potrà essere evitata solo grazie all’espansione, non brillante, della domanda estera. A meno che – avverte il rapporto del Centro studi – non si realizzi l’auspicato cambio di passo nella politica economica nazionale».

Che fare? Forse la prima cosa sarebbe quella di ammettere di essere in pericolo recessione. Una fase negativa dell’economia influirebbe anche sul gettito fiscale e dunque sulla manovra economica. Non illudiamoci: in quel caso Conte e Tria dovrebbero far ricorso a una manovra bis poiché siamo già troppo indebitati: Bruxelles non ce lo permetterebbe, nemmeno una nuova commissione di stampo «sovranista» come auspica Salvini dopo le elezioni del 26 maggio. Gli industriali premono su maggiori investimenti infrastrutturali: il «cambio di passo». Ma uno dei due pilastri della maggioranza è contrario quasi ontologicamente, come si è visto con la Tav. Salvini, il meno preoccupato dai dati offerti da Confindustria, è paradossalmente più favorevole ai nuovi cantieri, ma non può rompere con il suo alleato. Alla fine questo governo rischia di perdere il contatto con uno dei corpi intermedi più importanti del Paese: il mondo delle industrie. È già accaduto in passato e non ha affatto portato fortuna agli esecutivi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA