Ambiente, nuova rotta: 10 anni cruciali

Si celebra oggi la Giornata internazionale dell’Ambiente e a tutti noi spetta il compito di vivere questi momenti, oltre la ricorrenza stessa, affrontando l’urgenza di impegni chiari per migliorare la situazione che stiamo vivendo. La stragrande maggioranza delle persone avverte l’impellenza di un cambio di rotta effettivo, dopo i disastri che l’uomo ha inflitto alla terra. Ma ancora troppo spesso sembra che questo cambiamento riguardi altri e non invece ciascuno di noi. Evochiamo cambiamenti necessari e aspettiamo che qualcuno li esegua anche per conto nostro. E questo sembra riguardare le persone come le imprese, le istituzioni e gli Stati come ciascun settore della nostra economia. Ma è evidente che se continuassimo a ragionare così la svolta necessaria non arriverebbe mai. E invece abbiamo bisogno esattamente di questo. Di un cambio di prospettiva reale e duraturo. Di un’altra prospettiva della nostra storia. Se non assumiamo con sincerità questa consapevolezza, non ha senso nemmeno celebrare giornate come queste. Meglio lasciare perdere e non prenderci in giro.

E in particolare, meglio non illudere le giovani generazioni a cui dobbiamo il senso più profondo di questo cambio di passo delle nostre responsabilità. Sulla terra siamo tanti e siamo affamati. Oltre tre miliardi di persone sono colpite dal degrado del suolo e questa condizione ne limita drasticamente le capacità di nutrizione. Inquiniamo molto di più di qualche anno fa e stiamo consumando risorse naturali fondamentali come l’acqua a una velocità insostenibile. Perdiamo biodiversità in ogni angolo del Pianeta e troppo spesso assistiamo inermi a radicali sconvolgimenti dei nostri territori. Crescono le temperature e cambiano per sempre i paesaggi. Gli eventi climatici calamitosi che fino a qualche decennio fa erano considerati accadimenti «straordinari» oggi sono la norma. Intere aree del pianeta sempre più a Nord stanno diventando aride e, per contro, dove eravamo abituati a temperature glaciali, come in Siberia, oggi leggiamo studi che stimano di qui a qualche anno, temperature assai più miti.

Ma attenzione. Non è un gioco a somma zero. Siamo su un piano inclinato pericolosissimo per l’umanità e per il pianeta. Ed anche la pandemia che abbiamo vissuto dovrebbe insegnarci molto dei precari equilibri su cui viviamo, tra cambiamenti climatici e nuove epidemie. Abbiamo bisogno di frenare l’aumento delle temperature globali sotto i due gradi. Il quadro è questo ed è giusto analizzarlo con parole di verità. Da qui si deve partire anche per riconoscere e supportare sul serio i diversi segnali concreti di quel cambiamento concreto evocato all’inizio del ragionamento. Ci sono segnali che lasciano sperare, per fortuna, ma guai a noi se ci cullassimo sugli allori. Con l’aggravarsi della situazione si sono diffuse buone pratiche di cambiamento che costituiscono l’unica vera risposta possibile allo scenario peggiore. È l’uomo che reagisce e si mostra consapevole. Sono progetti, azioni, politiche che poggiano sulle gambe e nella testa delle persone e che possono fare la differenza.

Quando produciamo impianti per le energie rinnovabili e li sviluppiamo comunità per comunità, quando concretizziamo piani di riforestazione delle nostre terre, quando sprechiamo meno cibo, quando consumiamo meno terra e acqua e supportiamo impianti di riutilizzo dell’oro blu. Quando investiamo nella chimica verde e abbattiamo l’uso della plastica. Quando ripensiamo in chiave sostenibile il riscaldamento delle nostre case, gli impianti delle nostre aziende, i motori delle nostre auto. Sono tanti i buoni esempi. I prossimi dieci anni saranno cruciali per difendere gli ecosistemi e salvare almeno un milione di specie dall’estinzione. Le Nazioni Unite hanno lanciato una strategia per il ripristino degli habitat naturali tradotta in dieci azioni che possono fare la differenza. Il mondo deve mantenere il suo impegno per ripristinare almeno un miliardo di ettari di terra degradati nel prossimo decennio, un’area delle dimensioni della Cina. L’uomo ha distrutto parte dell’ecosistema che gli ha consentito di vivere e prosperare fino a qui e oggi è chiamato a riparare questo errore e a restituire alla Terra. Questo cambiamento viaggia sulle nostre gambe. Perché guarire gli ecosistemi significa guarire noi stessi. La deriva ambientale si può fermare. Ed è l’impresa più umana che ci possa essere.

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