Astensionisti, recuperarli richiede scelte serie

La Presidenza del Consiglio ha istituito una commissione di esperti con compiti di proposta di iniziative volte a favorire la partecipazione dei cittadini al voto. La commissione, presieduta da Franco Bassanini, ha elaborato un «libro bianco», consultabile in versione provvisoria, dal titolo ambizioso: «Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto».

Il lavoro parte da premesse condivisibili: «Un sistema è democratico (…) se le decisioni pubbliche (…) sono deliberate direttamente dai cittadini (nei referendum) o da persone che essi hanno scelto, con il loro libero voto, per rappresentarli». Distingue nell’ambito dell’astensionismo reale sulla base delle motivazioni della decisione di non recarsi alle urne tra una componente involontaria, che dipende dall’impossibilità materiale di votare per impedimenti fisici, materiali o di altro genere (ad esempio, elettori lontani dal Comune di residenza); una di generico «disinteresse verso la politica»; e infine un astensionismo di protesta. Il fenomeno dell’astensionismo volontario è stimato in circa il 15-20% degli elettori per la componente di «alienazione» e protesta; e in circa il 10-15% per quella di indifferenza. Nella parte di proposta, il documento si concentra solo sull’astensionismo involontario. Ne esce uno studio molto accurato, ma parziale. Agli esperti non si poteva chiedere molto di più (anche se non è una scelta felice definire «alienati» gli astensionisti volontari). E tuttavia si lascia – come l’ormai classica mucca nel corridoio – nel limbo la componente di astensionismo volontario. Chi se ne dovrà occupare?

Non è questo un compito primario del Governo. Ma il Parlamento e le forze politiche cosa ne pensano? Sembra maliziosa la scelta – in sé sacrosanta - di recuperare gli involontari, quasi a voler ridurre l’impressione che potrebbero destare l’astensionismo e il malcontento crescenti.

Non è questo un compito primario del Governo. Ma il Parlamento e le forze politiche cosa ne pensano? Sembra maliziosa la scelta – in sé sacrosanta - di recuperare gli involontari, quasi a voler ridurre l’impressione che potrebbero destare l’astensionismo e il malcontento crescenti. Dovremmo tutti interrogarci sul senso di questi disgusto e disaffezione crescenti. E sulle misure concrete per ridurlo. Il successo – ambiguo - del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari ne è stato un chiarissimo segno. Così come le rilevazioni demoscopiche periodiche sulla sfiducia (pressoché generalizzata) verso l’istituzione-partito. Lo stesso effimero successo del M5S si spiega anche così: aver posto la questione, seppur con alcune soluzioni sbagliate, pagando poi un prezzo alto al modo occasionale, non strutturato, di selezionare i candidati (oltre che a una certa opacità nella gestione delle piattaforme). Per ora, la classe politica nazionale ha mostrato un’abilità davvero cinica nel piegare in chiave di chiusura e manipolare le possibili novità: perfino le candidature alternate di genere e le candidature multiple sono stati strumenti usati non per allargare la scelta, ma per coartarla. Le direzioni da intraprendere sono note da un pezzo: una legge elettorale che stabilisca un legame limpido tra l’eletto e gli elettori (mediante la preferenza o, meglio ancora, i collegi uninominali), visto che la mediazione partitica non dice più pressoché nulla; e soprattutto la agognata e doverosa legge sulla democraticità interna dei partiti.

Non si scambino queste accorate richieste per sentimento anti-partitico: i partiti avrebbero solo da guadagnare in credibilità ed autorevolezza se divenissero espressione genuina della partecipazione dei cittadini.

Non si scambino queste accorate richieste per sentimento anti-partitico: i partiti avrebbero solo da guadagnare in credibilità ed autorevolezza se divenissero espressione genuina della partecipazione dei cittadini. Se gli iscritti potessero almeno decidere le candidature, associarsi a un partito avrebbe un senso. E invece seguitiamo ad avere partiti ostaggio di leadership debolissime, ma che non hanno alcuna intenzione di sottomettersi alla misurazione del consenso e alla responsabilità verso gli elettori. Leadership che si auto-legittimano e che si consolidano portandosi dietro seconde (e terze) linee cooptate che, a loro volta, non rinunciano volentieri al privilegio acquisito. È il tempo della responsabilità: cosa ne pensano i rappresentanti dei partiti?

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