Atalanta in Champions
Fieri di essere cambiati

Certo che siamo proprio cambiati tanto. Anni fa, si diceva: che ci vai a fare in Europa, che poi è un impiccio e per fare qualche partita magari poi rischi anche di retrocedere. Poi l’inizio del cambiamento di mentalità, complice l’arrivo di Gasperini, che fin dalle prime interviste, pur parlando di salvezza, fu chiaro: poi alzeremo l’asticella. Solo che l’asticella s’è alzata subito, subitissimo. E in quell’anno, quello del quarto posto finale, per mesi l’Europa quasi nemmeno la si poteva nominare. Scaramanzia un po’ paesana, forse.

Fatto sta che arrivò quell’Europa League, e non fu Champions al primo colpo soltanto perché il quarto posto non la garantiva. Lione, Apoel, Everton. Sembrano preistoria, nel tritacarne del calcio di oggi. Ma era solo l’altroieri. Poi Borussia, il muro giallo, le lacrime di Percassi, la papera di Berisha. E le altre lacrime di Copenaghen, quell’inutile dominio reso vano dai rigori, la forza di ripartire, di risalire, di rigenerarsi fino al quinto, anzi al quarto, stai a vedere che puntiamo alla Champions. Ma che dici Champions, siamo l’Atalanta, il passo lungo giusto, non esageriamo. La risposta a tutto questo è quel terzo posto, e le parole di Gasperini di qualche giorno fa, che danno una dimensione nuova al «passo giusto» dell’Atalanta: crescere, crescere, crescere sempre. Se ti fermi e gli altri corrono, finisce che arretri e nemmeno te n’accorgi.

Quello che emerge forte oggi, nelle ore dell’attesa di questo debutto in Champions League, è proprio questo, riavvolgendo il nastro e guardandoci un pochino indietro. L’Atalanta della Coppa delle Coppe, ma anche quella della Coppa Uefa, era sì una squadra fatta di ottimi giocatori, ma si portava sempre dietro il santino di Cenerentola, di bella per una notte nel ristorante stellato che ci capiti perché paga un altro, che di tuo non te lo potresti permettere. Avventure memorabili anche per questo, in fondo: solo noi, solo noi, in Europa soltanto noi. Adesso non è più così. Questa società, fatta di gente che parla poco e vince tanto, ha scalato tutti i piani del grattacielo non con fatturati a mille zeri, non con sponsor multinazionali, non con proprietà intercontinentali. L’ha fatto con il lavoro, con la programmazione, con la serietà. Di questo occorre andare fieri. E lo dovrebbero essere anche quei bergamaschi che non seguono o non amano l’Atalanta. Perché questa Champions porta tantissima attenzione internazionale anche sulla città. Esattamente come ci domandiamo noi dove sia Donetsk, o qualche altra città che non rientra normalmente nei circuiti turistici, o nelle mete commerciali, oggi in Europa chi già non lo sa si starà domandando di Bergamo. Certo, gli stranieri che arriveranno per la Champions andranno a Milano, che già conoscono. Ma intanto parleranno di Bergamo. Lo dice sempre Glenn Stromberg, che vive l’Europa al punto da svegliarsi a Stoccolma, pranzare a Londra e coricarsi a Barcellona: tutti mi chiedono di Bergamo, dell’Atalanta, di questa specie di miracolo sportivo. Bisogna esserne fieri, e contenti, noi per primi che tante volte, anche un po’ per indole, contenti non lo siamo mai fino in fondo.

Poi sul campo vada come vada. La Dinamo è una squadra di discreti lavoratori del pallone. Niente fuoriclasse, ma tanto lavoro, muscoli e qualche tacchettata quando serve. Slavi, in sintesi. L’ambiente è quello che è, da sempre. La musichetta ci farà barcollare, ma di certo non mollare. Come ci insegnano Gasperini e Percassi, e come a modo loro ci hanno insegnato tutti coloro che all’Atalanta hanno dato qualcosa nei 112 anni o quasi di vita. Dai primi presidenti, dal senatore Turani che la ricostruì dopo la guerra, l’ingegner Tentorio con mille ruoli pur di dare una mano, i tantissimi dirigenti, giocatori, allenatori, le famiglie Bortolotti e Ruggeri. Su livelli diversi, tutti hanno dato l’anima per l’Atalanta, tutti le hanno voluto bene, tutti hanno costruito le fondamenta di quel che c’è oggi, di quel che sarà stasera. Dalla paura dell’Europa a Dinamo Zagabria-Atalanta. Certo che siamo proprio cambiati.

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