Caos sulla Brexit
Rebus difficile

I futuri manuali di scienze politiche dovranno tener conto di questa telenovela chiamata Brexit, in particolare nei capitoli dedicati alla democrazia diretta. Bella cosa il referendum con cui, nel giugno 2016, gli inglesi hanno scelto di rompere gli ormeggi con l’Unione Europea. La volontà del popolo, la coscienza dei cittadini, eccetera eccetera. Valori importanti. Peccato che quel voto fosse così influenzato dalla «pancia» (fermiamo l’invasione, riprendiamoci l’identità, basta con lacci e lacciuoli, l’economia fiorirà) che poi la «testa» non sia più riuscita a gestirne le conseguenze.

Gira e rigira, con la Brexit si torna sempre allo stesso punto. Non è uno scandalo aver le tasche piene della Ue. Non è detto che da soli si stia peggio. Non è un dramma decidere di andarsene. Però bisogna saperlo fare. E gli inglesi non lo sanno. E se non lo sanno loro, che con la Ue hanno sempre avuto legami allentati, che si sono tenuti la moneta, che al momento del referendum godevano dell’economia più vitale dell’intera Unione, vuol dire che, semplicemente, si tratta di un rebus difficile da sciogliere.

Quello che paralizza la politica inglese, oggi, non è la paura del futuro ma l’incertezza. Non sono le catastrofiche previsioni dei fautori del «remain», che hanno peraltro la stessa scarsa fondatezza di quelle rosee dei sostenitori del «leave», a bloccare tutto, ma la sensazione di dover prendere oggi decisioni che domani, a Brexit avvenuta, potrebbero rivelarsi dannose, inutili o anche solo stupide. Ed è un’incertezza che attraversa i partiti, perché sull’esito del progetto abbracciato nel 2016 si giocano infiniti scranni, privilegi e carriere. Anche i politici hanno la «pancia» e, soprattutto, l’avevano nel 2016. Chi era a favore del distacco lo è ancora, ma non sa più bene come. Chi era contro si chiede: e se invece andasse tutto bene?

Son passati quasi tre anni, durante i quali le migliori menti del Regno Unito si sono affannate a studiare i passi necessari a realizzare la Brexit. Il risultato è che oggi la premier Theresa May, sostenitrice della Brexit, si ritrova con il piano di uscita concordato con la Ue bocciato dal suo stesso partito. Così lei va in Parlamento e dice: non voglio alcun rinvio, decidete voi se uscire dalla Ue al buio, senza alcun accordo. In mente ha, ovviamente, proprio il contrario: sa che l’ipotesi «no deal» piace a pochi e spera che sia bocciata per guadagnare tempo e convincere o i ribelli del suo partito o le autorità Ue o entrambi a cedere su qualcosa.

Mentre il primo partito dell’opposizione, i laburisti di Jeremy Corbin, a poche ore dalla scadenza fatale del 29 marzo, decide di sostenere tutto e il contrario di tutto. Da un lato, l’ipotesi di un secondo referendum, nella speranza che questo serva a rovesciare il risultato di quello del 2016. Dall’altro, un emendamento presentato in Parlamento dalla «sua» deputata Yvonne Cooper che, se approvato, imporrebbe alla May di far passare il proprio piano di Brexit entro il 19 marzo, pena il passaggio del dossier al Parlamento stesso. Iniziativa che potrebbe spingere i parlamentari della maggioranza ad approvare davvero il «piano May» che hanno finora respinto, per non incassare una sconfitta umiliante e vedere il Governo esautorato sulla questione più importante del secolo. In più, lo stesso Corbin ha un suo piano di Brexit, molto cauto e morbido e infatti apprezzato anche in ambito Ue. E così la nave inglese va, più o meno alla cieca, incontro al destino. E mentre a Londra si litiga, a Bruxelles si sghignazza, ormai nemmeno più sotto i baffi. È chiaro che il pasticcio inglese fa gioco alle forze politiche che da anni guidano incontrastate la Ue e che ora devono fronteggiare la presunta ondata sovranista e populista, in genere euroscettica.

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo sono alle porte (23-26 maggio), per dimostrare che fuori dalla Ue non c’è salvezza basterà che Bruxelles tenga duro rispetto alle suppliche degli inglesi. È esattamente ciò che sta succedendo e che contribuisce a complicare, e molto, la vita alla povera Theresa May. Alla quale bisognerà riconoscere, se non altro, grande carattere e ottima resistenza. In un modo o nell’altro porterà il Regno Unito alla Brexit. Poi lascerà la politica ed è facile prevedere che nessun pensionamento sarà goduto quanto il suo.

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