Cervelli in fuga
Un patrimonio

Chiedete a un adolescente cosa vorrebbe fare da grande e vi risponderà: «Vivere all’estero». Fatta la tara alle seduzioni del mondo globalizzato che con Internet e i trasporti low cost ha abbattuto le distanze, e all’ormai lingua comune - l’inglese - che i nostri ragazzi imparano agevolmente anche solo ascoltando musica, in questa risposta c’è qualcosa che non torna. Come è possibile che un ragazzo non immagini il proprio futuro nel Paese dove è cresciuto? Nel Bel Paese, peraltro. Non a latitudini ben più problematiche e sofferte.

Così, mentre in Italia si continua a discutere dello stop all’immigrazione fermando le navi dei disperati nei porti, i nostri ragazzi diventano expat, cioè scelgono o addirittura programmano o, peggio, sognano l’emigrazione. Oggi la ribalta viene dedicata artatamente agli sbarchi nel Mediterraneo, mentre viene tenuto in sordina un cambiamento sociale (secondo l’Ocse l’Italia è all’ottavo posto nel mondo per emigrati) che svuota i Comuni più piccoli, dal Sud fino a quelli delle nostre valli. Ad esempio Blello, lo «scricciolo» delle municipalità orobiche, detiene il record degli abitanti iscritti all’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero). Un dato della nostra inchiesta (ieri la prima e oggi la seconda uscita di quattro puntate in cronaca) che va senz’altro preso con le pinze per le limitate dimensioni del paese, ma non è l’unico Comune con percentuali così alte d’emigrazione e quindi di spopolamento.

Dunque, se il sovranismo può forse bloccare le entrate, al momento dimostra di non riuscire ad arginare le uscite. Non che il fenomeno dipenda direttamente da questo governo, ma il mancato slancio economico promesso non ha fatto altro che sommarsi alla situazione che da alcuni anni ha raggiunto livelli paludosi. Questo aspetto non favorisce un clima di speranza nelle nuove generazioni che cercano di costruirsi un futuro con un’occupazione, se possibile, a tempo indeterminato e con uno stipendio dignitoso. A ciò si aggiunge l’atmosfera incattivita degli adulti che spesso fomentano una lettura critica della realtà italiana a favore dei paesi esteri. Ma dovremmo piuttosto parlare di una lettura acritica delle opportunità oltre confine, perché non è tutto oro ciò che luccica. Infatti le storie dall’estero - che il nostro giornale raccoglie ormai da 5 anni nella rubrica domenicale «Bergamo senza confini» - raccontano sì di tanti successi ma anche di profondi sacrifici e di capacità di adattamento oltre la media. E sono la punta dell’iceberg, spesso brillante perché raccontata dai bergamaschi che hanno fatto fortuna, da intendersi non solo economicamente. Ma insieme ai 300 finora raccontati ci sono oltre cinquantamila bergamaschi registrati all’Aire tra i quali tanti faticano a trovare una collocazione dignitosa, a sfondare là dove speravano e che non incontrano tutto quel riconoscimento che si aspettavano, al contrario vengono scelti - come in Australia - per mestieri con un basso grado di qualifica.

Recentemente in un viaggio a Londra, in un ristorante, al tavolo vicino, un ragazzo italiano si lamentava con una connazionale: «Torno in Italia, sto saltando da un ristorante all’altro come cameriere, qui nessuno mi offre la stabilità che cercavo». A dimostrazione che non sono tutti «cervelli in fuga» quelli che decidono di emigrare. C’è chi cerca letteralmente fortuna e purtroppo la puntata vincente non sempre è assicurata.

L’emigrazione tende a mostrarci il volto dell’opportunità, ma spesso nasconde quello della necessità. Così come non sono tutti bergamaschi d’origine quelli che espatriano. Negli ultimi anni, infatti, i numeri sono cresciuti perché ci sono immigrati che emigrano e quindi spostano la loro residenza dalla Bergamasca all’estero. Al netto di queste sfumature, il fenomeno è senz’altro in aumento. E potrebbe essere più ampio di quanto indichino i dati ufficiali perché la cancellazione dal comune di residenza non è un obbligo e tanti emigranti la fissano nel nuovo Paese senza toglierla in quello di provenienza.

Di certo non si espatria più con la valigia di cartone come nel secolo scorso, oggi ogni partenza corrisponde a una grave perdita per l’Italia. A ogni persona, in base alla professione, corrisponde un investimento mancato. Stando solo ai cosiddetti «cervelli in fuga» (i ricercatori), la puntata di domani della nostra inchiesta parla di una stima nazionale di 5 miliardi di euro persi. Un’enormità. Un patrimonio umano che il Bel Paese non può lasciarsi sfuggire.

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