Chiarimento salutare e tattiche mediocri

La clamorosa marcia indietro di Carlo Calenda, che nel corso di una intervista tv ha stracciato l’accordo elettorale siglato col Pd solo pochi giorni fa, dimostra - questa volta più di altre - quanto sia arduo mettere insieme le «anime» di sinistra, centro, centrosinistra, ecc. in funzione anti-centrodestra. Calenda ora dice addio a Enrico Letta dopo che il Pd, oltre all’accordo con lui, ha firmato anche quello con Angelo Bonelli (Verdi), Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Luigi Di Maio. Per lui questa circostanza è evidentemente intollerabile: Verdi e sinistra radicale hanno fatto opposizione al governo Draghi e Di Maio è, agli occhi del leader di Azione, solo il grillino incompetente che ha smantellato il suo lavoro al Mise.

Si vedrà più avanti quale conseguenze avranno queste contorsioni sul risultato elettorale generale e su quello personale di Carlo Calenda (che domenica 7 agosto ha perso per strada i radicali di Emma Bonino): per il momento si può solo dire che obiettivamente favoriscono il centrodestra. Una coalizione abbastanza ampia, ancorchè troppo eterogenea, come quella immaginata da Letta, avrebbe potuto con qualche speranza sfidare nei collegi uninominali i candidati di Meloni, Salvini e Berlusconi, che invece ora potrebbero anche fare cappotto trovandosi di fronte forze tra loro divise in vari segmenti, nessuno sufficientemente robusto e coeso. Insomma, stiamo quasi assistendo ad un suicidio politico.

E però c’è anche un altro aspetto da valutare oltre il prevedibile risultato elettorale di settembre: questa volta si è rotto il meccanismo che già in passato aveva condotto i partiti anti-berlusconiani ad allearsi con chiunque pur di battere l’Avversario, salvo poi produrre zoppe prove di governo (soprattutto quella del 2006-2008). All’epoca si andava da Mastella e Dini sino a Bertinotti e Turigliatto, un arrosto misto messo a tavola al solo scopo di allontanarne il Cavaliere ma che finiva per rivelarsi un boomerang successivamente (ne sa qualcosa Romano Prodi, fatto cadere nel 1998 da Bertinotti e nel 2008 da Mastella con l’attivo concorso di alcuni suoi compagni di strada). Ora tutto questo sembra non sia più possibile nel variegato mondo del riformismo italiano. Ma è davvero un male?

Conclusione. Il risultato dei tanti mediocri tatticismi di queste settimane potrebbe essere la presenza sulla scena di un polo di sinistra costruito attorno al Pd con Verdi, sinistra radicale e grillini vari (se non Conte stesso…e sarebbe un’altra giravolta) e di un raggruppamento centrale formato dal partito di Calenda e magari di Matteo Renzi (se i personalismi non prevarranno) in nome della cosiddetta «agenda Draghi». Questo farebbe perdere al Pd il carattere omnicomprensivo ed egemonico che gli volle dare Veltroni alla sua nascita, e tornerebbe a conferirgli un carattere più spiccatamente di sinistra, «progressista», direbbe Bersani. Ma nello stesso tempo produrrebbe un salutare chiarimento nello strambo scenario politico italiano tornando a dotarlo finalmente di una sinistra e di un centro potenzialmente alleati ma distinti nella loro identità e natura. È improbabile che queste due nuove creature delle elezioni del settembre 2022 possano battere un centrodestra che sembra avere il vento in poppa, ma getterebbero un ponte sul futuro. Considerando quanto sono fluide ormai le simpatie elettorali degli italiani verso le leadership che si alternano sul palcoscenico, sarebbe infatti oggi più ragionevole pensare al dopodomani che all’immediato futuro.

C’è infine da chiedersi quanto questo ragionamento di «politica-politicante» giovi al Paese nel momento di eccezionale gravità politica, geopolitica, economica, sanitaria e climatica in cui ci troviamo. Ma questo, come si usa dire, è un altro discorso…

© RIPRODUZIONE RISERVATA