Clima, la guerra ritarda l’azione

Gli impegni di taglio delle emissioni di gas serra, presi al G20 di Roma e alla Cop26 di Glasgow nell’autunno scorso, si basano sulla cooperazione internazionale e rischiano l’ennesimo rinvio. Gli scienziati dell’Ipcc, il forum dell’Onu sui cambiamenti climatici, avvertono che solo la cooperazione, l’esatto opposto della guerra, riuscirà a risolvere i problemi globali. La loro visione è quella di un’umanità fraterna, che non agisca a scapito degli altri ma in modo interconnesso.

Gli esperti, nell’ultimo rapporto, hanno messo in relazione il sistema geofisico e l’uomo, mostrando la stretta dinamica di interazione. Il mondo inanimato, l’atmosfera, gli oceani, le terre, quello animato, gli ecosistemi, gli organismi, e noi siamo anelli della stessa rete. «L’approccio è molto in sintonia con l’ecologia integrale di Papa Francesco», osserva Antonello Pasini, climatologo del Cnr. Lo scrittore indiano Amitav Ghosh, intervenuto giovedì 19 maggio al Salone del Libro di Torino, ribadisce il concetto, ricordando come i popoli più poveri siano quelli che già ora stanno subendo le conseguenze più gravi del riscaldamento globale di origine antropica: «I conflitti distruggono un ambiente già compromesso dal divario tra l’Occidente e il Sud del mondo, ma anche dal nuovo colonialismo legato ai combustibili fossili».

L’enorme consumo dei Paesi più ricchi si ripercuote su quelli più poveri. Il 15 maggio l’Italia ha esaurito le risorse rinnovabili in un anno. Se ogni Paese dovesse cavarsela solo con le proprie, agli italiani servirebbero più di cinque Italie, secondi solo ai giapponesi, cui occorrerebbero quasi otto Giapponi. Nella classifica del consumo complessivo di risorse, interne ed esterne, gli Stati Uniti sono al primo posto: non basterebbero cinque Terre se tutti seguissero il loro stile di vita, 2,7 per l’Italia. Quando si parla di questi dati, bisogna sempre aggiungere che il deficit dei Paesi ricchi è colmato importando risorse a basso costo dal terzo mondo, accrescendo il già enorme debito ecologico, sia per l’esportazione di materie prime, lasciando generalmente danni nei territori di provenienza, sia per l’accumulo di gas serra, all’origine del riscaldamento globale e delle conseguenti siccità, ondate di calore, inondazioni. In questi giorni si assiste a temperature fino a 50 gradi in India e in Pakistan e a gravi carestie in Africa. L’Ipcc spiega come certi limiti biologici non si possano superare. L’urto delle ondate di calore può diventare insostenibile, provocando morti, distruzioni, correnti migratorie.

L’Organizzazione meteorologica mondiale ha annunciato che già tra il 2022-2026 si potrà raggiungere una temperatura media globale di più 1,5 gradi sopra il livello preindustriale, infrangendo così l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, ribadito ai vertici internazionali. «Se la guerra durerà a lungo, ovviamente renderà molto complicato rimanere entro più 1,5 gradi», rileva l’inviato speciale per il clima del presidente Usa, John Kerry. Il rapporto «The Production Gap» dell’Onu evidenzia la discrepanza, per limitare il riscaldamento a 1,5 o 2 gradi, tra i livelli di produzione di combustibili fossili pianificati dai Paesi e quelli globali necessari. Il divario, del 120 per cento in più entro il 2030, porta a uno scenario di 2,7 gradi. Per evitarlo si calcola che il 75 per cento dei combustibili fossili dovrebbe rimanere sotto terra.

L’ultimo rapporto dell’Ipcc mette in guardia anche l’Europa e il Mediterraneo, spiegando come i problemi maggiori saranno l’innalzamento del livello del mare, la siccità, la scarsità di risorse idriche con impatti sull’agricoltura, gli eventi estremi nelle città, molto fragili perché antropizzate in modo insostenibile. Troppa acqua, quando arriva su un terreno completamente asfaltato o cementificato, non è assorbita ma defluisce in superficie, creando disastri enormi. La nostra area geografica è colpita da un lato dagli anticicloni africani opprimenti e dalla siccità, dall’altro dalle alluvioni improvvise e dalle grandinate con i chicchi grossi come palle da tennis. Anche la Pianura Padana è minacciata dalla desertificazione: il lungo periodo di siccità tra dicembre e aprile, seguito da temperature mai così alte a maggio, può portare, durante la prossima estate, a emergenze legate alla mancanza di acqua. Quanto accade in altre parti del mondo, peraltro, influisce anche su di noi: ne sono un esempio evidente le immigrazioni dalla fascia del Sahel.

La risposta ai cambiamenti climatici cammina su due gambe. La prima è quella della mitigazione, che consiste nel taglio delle emissioni di gas serra: la strategia da 300 miliardi, presentata dalla Commissione europea per dire addio all’energia russa, rilancia le fonti rinnovabili con pannelli fotovoltaici su tutti gli edifici nuovi e più efficienza. La seconda gamba è quella dell’adattamento. «In Italia – avverte il climatologo Claudio Cassardo – è fermo, mentre gli eventi estremi aumenteranno. Il nostro Paese, dove l’aumento della temperatura media è 2,2, doppio rispetto a quello globale di 1,1-1,2, subisce già effetti più pesanti. Quelli più gravosi arriveranno inevitabilmente. L’adattamento è urgente perché, anche se azzerassimo le emissioni, le temperature si stabilizzerebbero fra trent’anni. Ora crescono». Non c’è più tempo da perdere.

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