Coltiviamo gentilezza contro il bullismo

Com’è noto Sanremo non è solo canzonette. Anzi le canzoni, festival dopo festival, sempre più sofisticate, scritte e musicate da gruppi sempre più numerosi di autori e musicisti, ognuno dei quali aggiunge il proprio tassello, sono sempre meno preponderanti. Conta sempre di più quel che si dice, oltre quel che si canta. In questo senso molto bello è stato il dialogo tra il cantautore Marco Mengoni e Filippo Scotti, il protagonista de «la mano di Dio» di Sorrentino sugli «hater», gli odiatori che si nascondono dietro una tastiera di un personal computer o di un telefonino per dare voce ai loro istinti repressi vomitando la propria rabbia su qualcuno, sconosciuto o famoso che sia. Di solito si ammorba il mondo digitale in preda a due convinzioni: la prima è che non si verrà mai scoperti, la seconda (a torto) è che si pensa che tutto sommato inveire contro qualcuno non è così grave.

In realtà, come testimoniano le cronache di tutti i giorni, dietro i bersagli degli «haters» non ci sono figurine Panini ma persone in carne e ossa che spesso ne rimangono vittima, fino ai casi limite del suicidio. Mengoni e Scotti hanno giustamente citato gli articoli 3 e 21 della Costituzione, quello che sancisce l’eguaglianza sostanziale tra cittadini, rimuovendone gli ostacoli, e quello sulla libertà di comunicazione che i giornalisti devono sapere quasi a memoria per sostenere l’esame che li abilita alla professione. Ma libertà di parola non significa dire qualunque cosa, perché i propri diritti, come il mare sugli scogli, si infrangono su quelli degli altri.

In questo senso una tastiera può essere un’arma micidiale. Per questo va usata con umanità. Non esistono luoghi od occasioni, nemmeno nel cyberspazio, dove è possibile offendere una persona. L’umanità, il rispetto, il senso della dignità, non prevede zone franche. E con l’esplodere dei social, che permettono a chiunque di esprimere il proprio pensiero senza limiti, questa responsabilità riguarda tutti, non soltanto i comunicatori. Un tema fondamentale sul quale, ieri, si è soffermato anche Papa Francesco nella sua intervista in diretta alla trasmissione di Fabio Fazio «Che tempo che fa».

Tornando a Sanremo, «pensare che certe cose non le scriveremo mai non è abbastanza, dovremo provare a essere più gentili», hanno sottolineato Mengoni e Scotti. Proprio così: è nostro dovere maturare uno stile, un approccio rispettoso in qualunque messaggio postiamo, in modo da poter influenzare, con una tendenza, l’ambiente digitale che ci circonda. Non solo perché un giorno il bersaglio dei nostri hater potremmo essere noi o qualcuno che ci è caro, ma proprio per un fondamentale senso di umanità che siamo creati a costruire («il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me», recita il celeberrimo aforisma di Kant nella Critica della Ragion pratica, oggi forse il fiolosofo scriverebbe «il cyberspazio sopra di me»).

L’odio dietro la tastiera è lo stesso che avvelena la scuola, amplificato dal cyber bullismo. Non è cambiato nulla rispetto all’era pre-digitale, le offese sono sempre le stesse. Si è bullizzati per il proprio aspetto fisico, perché si fa fatica ad apprendere un professore a scuola, perché semplicemente si è timidi, per il proprio orientamento sessuale o addirittura per un proprio handicap. Quello che è cambiato è che i social hanno amplificato a dismisura le offese, come un fucile mitragliatore «spara parole» a portata di mano, con un effetto virale che può portare a devastare un ragazzo o una ragazza. Proprio per questo, come ha spiegato recentemente il primo dirigente di Pubblica Sicurezza Marco De Nunzio in un’intervista a questo giornale «oggi gli eroi sono i ragazzi che vanno a scuola tutti i giorni». Proprio così. Non è per niente facile alzarsi tutte le mattine, prendere l’autobus e andare a scuola sapendo che ci aspetterà una giornata in cui verremo dileggiati o sbeffeggiati alla prima occasione. Bisogna avere coraggio, sangue freddo, forza d’animo, intelligenza, cervello. Sono loro i migliori, le vittime dei bulli, che solitamente si fanno forza stando dentro al branco, come gli animali.

Sul bullismo e il cyberbullismo, i professori hanno il dovere di vigilare, non possono fermarsi all’ora di lezione, devono cercare di capire ed eventualmente agire con risolutezza contro i persecutori. Quanti lo fanno? Quanti voltano la testa dall’altra parte mentre fanno lezione?

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