Comunicare le norme
aiutando i cittadini

Gli avvenimenti di questo difficile anno mostrano che la presenza dello Stato (inteso come insieme dei poteri pubblici) è stata largamente «sentita». È certamente un segnale positivo, se paragonato al sentimento di distanza tra istituzioni pubbliche e i cittadini che ne ha storicamente connotato i rapporti. Troppo spesso, nel passato, lo Stato ha assunto un volto arcigno, ponendosi esclusivamente come potere sovraordinato; oppure è sembrato sordo alle esigenze della collettività, incapace di coglierne i bisogni; o ancora è rimasto muto, «parlando» soltanto attraverso le leggi. La necessità di dialogo con i cittadini si è posta in misura inedita con lo scoppio e l’allargarsi della pandemia generata dal Covid. Da quel momento i poteri pubblici hanno dovuto adempiere al dovere di emanare misure eccezionali per la tutela di tutti e per disciplinare, anche nei dettagli, le limitazioni necessarie su quasi tutti i terreni della vita quotidiana. Nel contempo essi hanno assunto sulle spalle il compito di informare costantemente i cittadini sull’andamento della pandemia e sulle restrizioni imposte ai cittadini.

Esercizio non facile su entrambi i fronti, con inevitabili elementi di sfasamento e di contraddittorietà. In particolare, come è stato osservato già nei mesi cruciali della «prima ondata», le norme emanate dal governo sono sembrate a volte poco chiare, fin troppo minuziose su alcune questioni, troppo generiche o lacunose su altri versanti. Da ultimo, i decreti con i quali si cerca di limitare la diffusione, già in atto, della «seconda ondata» del virus hanno fatto storcere il naso a molti.

Senza indulgere in spocchiose e petulanti precisazioni di dettaglio, basta pensare alla pretesa di limitare a sei le persone che possono sedere in famiglia per rendersi conto che le norme troppo minuziose rischiano di fare la fine della «grida» di manzoniana memoria. Il contrario di ciò che serve: regole chiare, semplici da capire, possibili da applicare. Con un corollario, sovente ignorato: le norme da sole non risolvono mai nulla. Occorre creare le condizioni affinché la loro applicazione sia ampia e soddisfacente. In merito è necessario operare su quattro piste, tra loro intrecciate. In primo luogo lo Stato dovrebbe intensificare e modificare radicalmente i criteri di comunicazione, abituandosi a «spiegare» le leggi. Sembra banale ma è un fattore decisivo di successo.

E ciò va fatto, affidandosi ad una efficace strategia di campagne di informazione, calibrate nel tempo e sui territori. Ad oggi prevalgono, come modalità ricorrente, gli slogan a raffica di personaggi politici (di primo, ma spesso anche di secondo o terzo piano). Il peggio che si possa immaginare. È indispensabile cambiare rotta, individuando finalità, temi e pubblici di riferimento. Che cambiano a seconda dell’aspetto che si vuole focalizzare e dell’obiettivo che si vuole raggiungere. Molte istituzioni pubbliche hanno scarsa attitudine a comunicare, occorre quindi incentivare l’azione tesa a creare una relazione costante tra esse e i cittadini. Si può cominciare da piccoli passi, purché indirizzati a favorire la responsabilizzazione e la partecipazione. Meglio poche regole chiare, sostenute da un’attività di persuasione e di incoraggiamento ad assumere atteggiamenti responsabili. Le scuole possono essere una palestra formidabile di crescita di una coscienza civica, che porti a limitare e ad emarginare comportamenti rischiosi o contrari al bene collettivo.

Sul versante dell’azione pubblica occorre evitare che le persone alle quali spettano poteri di controllo e sanzione agiscano con il volto truce del «potere». Nell’esercizio di una potestà pubblica (si pensi a un poliziotto o a un vigile urbano) la prevenzione e l’invito a rispettare le regole producono effetti migliori della sanzione e della repressione. Quest’ultima va adoperata soltanto quando è indispensabile. A monte di tutto ciò sta la necessità di una formazione adeguata per chi ha una pubblica funzione. Tema antico, ma perennemente sottovalutato

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