Con il lavoro minorile
il futuro compromesso

uando mia zia maestra elementare mi raccontava che da giugno, ogni mattina, doveva andare a prendersi i suoi scolari uno a uno nei campi e tirarseli in classe perché i genitori li impegnavano nella raccolta, pensavo che quelle scene appartenessero a un piccolo mondo antico scomparso per sempre, a un Albero degli zoccoli che non esiste più. E invece non lo sono. Non c’è come la piaga del lavoro minorile a dirci che stiamo andando verso un mondo peggiore sul piano dei diritti umani. Se poi pensiamo che stiamo parlando di infanzia.

Secondo l’ultimo rapporto congiunto dell’Organizzazione internazionale del lavoro e delle Nazioni Unite il numero di bambini-schiavi (inutile utilizzare eufemismi) è salito a 160 milioni in tutto il Pianeta, con un incremento di 8,4 milioni di minori negli ultimi quattro anni. Anche in questo caso progresso e sviluppo sono due parole diverse, come diceva Pasolini, corriamo verso una società digitale globale ipertecnologica ma torniamo a condizioni umane che ci ricordano quelle dell’antico Egitto, o a prima di Cristo, quando i fanciulli, ai tempi di Augusto e Tiberio, erano considerati meno di niente. È stato il Vangelo a mettere al centro i bambini nella scala della dignità umana. Una dignità che fa ancora molta fatica ad affermarsi oltre duemila anni dopo.

«I bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità» ha ricordato Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. L’Italia non è esente da questo peggioramento, tanto è vero che anche la più alta autorità laica del Paese è intervenuta ieri nell’ambito della Giornata per ricordare questa piaga sociale: «Occorre uno sforzo corale di tutta la società per porre fine a questa grave violazione dei diritti dell’infanzia e rendere effettivamente vigente il diritto dei bambini a un avvenire da loro liberamente scelto», ci ricorda il capo dello Stato Sergio Mattarella. Ma quello che fa specie del rapporto mondiale è l’età media dei minori interessati: bambini dai 5 agli 11 anni. Costretti a spaccare pietre o a lastricare una strada, a spingere carriole, a lavorare 10 ore al giorno davanti a un telaio, a badare a una stalla, ai lavori domestici di una villa padronale, a incollare perline su una borsa di lusso, a lavorare in un cantiere, in una catena di montaggio di una fabbrica, in un’officina, in un campo di grano o di pomodori, a raccogliere frutta dagli alberi. Senza diritti, garanzie, senza niente. Non c’è soltanto la fatica bestiale che segnerà loro vita. C’è il fatto che non frequenteranno mai una scuola, un’aula scolastica, non poseranno mai il capo su un libro o su un quaderno. Una nuova generazione di bambini a rischio e non possiamo stare a guardare. I Paesi più coinvolti sono quelli del Terzo e del Quarto Mondo, come nell’Africa Subsahariana, dove la crescita della popolazione, le crisi ricorrenti, la povertà estrema e la mancanza quasi totale di tutele nel campo dei diritti umani favoriscono il fenomeno. A rendere le cose ancor più difficili la pandemia. Il Covid ha messo in crisi anche quei pochi progressi che si stavano facendo, poiché la crisi economica mondiale provocata dal virus complica le cose. Le Nazioni Unite avvertono che altri 9 milioni di bambini, proprio a causa del Covid e delle sue conseguenze sociali, rischiano di incorrere nel lavoro minorile. Spesso sono le famiglie, costrette a fare scelte difficili, a spingere i loro figli a lavorare e abbandonare la scuola, di conseguenza ipotecando il loro futuro.

In Italia la legge che impone il divieto di affidare lavori di qualunque tipo ai minori di 16 anni viene spesso violata. Si calcola che siano almeno 340 mila i minori in queste condizioni di adolescenza e preadolescenza, quando non di infanzia, violata.

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