Convulsioni M5S, governo in bilico

Punto primo: il governo con gli ultimatum non lavora. Punto secondo: se manca il voto grillino, sarà poi Mattarella a decidere il percorso istituzionale. Chiaro e netto, Draghi, nella conferenza stampa di ieri pomeriggio dopo l’incontro giudicato positivo con i sindacati. Nella lucidità del premier si avverte il peso del logoramento del governo dinanzi alle scorribande della guerriglia contiana che si sommano a quelle della Lega.

Il presidente del Consiglio ha reso chiara sino in fondo la responsabilità politica di chi si chiama fuori e per Conte la stagione dell’ambiguità finisce domani con il passaggio al Senato del decreto Aiuti. Non ci sono margini di manovra: quello che prima della scissione di Di Maio era il gruppo parlamentare più numeroso o vota la fiducia, e quindi resta nella maggioranza, o esce dall’Aula aprendo una possibile crisi. L’onere della prova tocca all’ex armata grillina, al bivio fra l’inseguimento della maturità e la corsa all’irresponsabilità. Quell’istinto di sopravvivenza dei populisti, in ritardo nel capire che il loro turno non ha più la forza di prima, a scapito dei problemi reali del Paese: la guerra in Ucraina, l’inflazione che galoppa, le ferite sociali, il Piano europeo per la ripresa, la pandemia non domata.

Il governo, da quel che si può intuire, resta in bilico, ma ancorato al profilo fondativo e anche su questo Draghi, per la sua storia e autorevolezza, è stato esplicito, rivendicando una linea coerente: «Ho già detto che, per me, non c’è un governo senza i 5MS e non c’è un governo Draghi altro che l’attuale». Nel caso di uno strappo, ciascuno farà le proprie valutazioni, sapendo che la chiusura del cerchio tocca a Mattarella, che di questo governo di quasi unità nazionale è doppiamente garante: come presidente della Repubblica e ideatore della formula. Dovesse succedere, l’esecutivo avrebbe comunque i numeri per continuare, ma cambierebbe la cifra politica: si tratterebbe a quel punto di un centrodestra allargato al solo Pd.

Il buon senso imporrebbe un supplemento di prudenza a Conte per almeno due motivi. Il primo riguarda le non felici prospettive del Movimento, sia per il crollo di consensi sia per il futuro del «campo largo» di Letta, l’alleanza elettorale che consentirebbe ai grillini di essere competitivi nei collegi uninominali e che ormai è seriamente a rischio. Il secondo è che l’ex premier avrebbe tutto l’interesse a cogliere l’uscita strategica offertagli da Draghi. Ecco l’altro aspetto importante della conferenza stampa, quando l’ex banchiere centrale ha detto di aver trovato nelle richieste dei Cinquestelle «molti punti di convergenza con l’agenda del governo», in linea con l’incontro con le parti sociali. Qui si apre il cantiere del nuovo patto sociale: salario minimo, riduzione del cuneo sociale (la differenza fra lordo e netto in busta paga), tutela del potere d’acquisto per le famiglie. Siamo oltre la contingenza attuale, proiettati nell’autunno pieno di rischi: e se lo dice uno come Draghi, peraltro portato a non drammatizzare, c’è da credergli.

Siamo quindi prossimi alla legge di bilancio, un passaggio obbligato e non scontato in tempi di rinnovato assalto alla diligenza e alla messa in campo delle bandierine di partito. Appuntamento da raggiungere senza scostamenti di bilancio, di nuovo contestato da Salvini. La cura dei mali sociali si tiene con la governabilità e viceversa. L’agenda sociale e concertativa di Draghi apre una nuova fase che, volendo, può essere spesa dallo stesso Conte come parte della propria offensiva: la defezione sarebbe incomprensibile e difficile pure da spiegare al Paese proprio mentre si sta mettendo a terra una politica economica redistributiva, nella consapevolezza delle difficoltà che gli italiani stanno attraversando in questi mesi drammatici. Tuttavia anche qui il sentiero è stretto, perché dovrebbe segnare il limite fra l’interesse generale perseguito dalla politica dei redditi e le posizioni di bandiera dei partiti. Resta in agguato quella che un osservatore ha definito la «congiura dei perdenti».

Le convulsioni dei grillini potrebbero avere un effetto rimbalzo sui tormenti leghisti in quella che fino a ieri sembrava una corsa fra Conte e Salvini a chi per primo staccava la spina all’esecutivo: le due forze, pur senza una strategia comune, oggettivamente giocano di sponda. I tormenti contiani hanno messo in pausa il declino di Salvini, insidiato e sorpassato dalla Meloni che – come da sondaggi e dalle recenti amministrative – sta assediando a proprio vantaggio il capitale di voti della Lega: la destra avanza anche per l’incapacità dei partner tradizionali di trovare nuovi equilibri interni e una ragione d’essere in tempi mutati. Anche dovesse risolversi senza traumi la quasi crisi di questi giorni, rimarrebbero le ragioni di fondo di una stabile instabilità che ha segnato la legislatura e che rimanda alla perdita di senso collettivo del sistema partitico. Con un interrogativo gravido di conseguenze future: chi, fra la compagnia guastatori e la compagine dei responsabili, rimarrà con il cerino acceso?

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