Coronavirus, Nord ferito
ma gli sconti vanno al Sud

Nella politica dei giorni del Covid ci sono segnali di un anti-settentrionalismo strisciante (versione speculare dell’altrettanto pernicioso antimeridionalismo) che andrebbe soffocato sul nascere. Non si tratta solo delle critiche alla gestione sanitaria o delle battute irrispettose e sarcastiche del governatore campano De Luca, che ha approfittato della situazione pandemica della sua regione - infinitamente più gestibile - per atteggiarsi a Louis Pasteur redivivo e attaccare più volte senza ritegno la Lombardia, pretendendo di dare lezioni a Nord del Po.

In uno dei momenti più drammatici e bui del Settentrione e della sua economia ci sono provvedimenti che odorano di privilegio e quasi assumono i contorni della beffa. Spiace parlare in termini duali - quasi manichei - a proposito del nostro Paese, ma pare che il coronavirus si sia trascinato dietro persino la vecchia questione del divario tra Nord e Sud rovesciando paradossalmente i termini della questione, proprio quando persino la Lega è diventata nazionale. Ci riferiamo al pacchetto degli incentivi per le assunzioni al Sud proposte dal ministro per il Mezzogiorno Giuseppe Provenzano. In pratica le aziende del Sud che a partire dal 1° ottobre assumeranno con un contratto stabile o stabilizzeranno un precario, avranno un taglio dei contributi del 30%. Per quest’anno ci sono un miliardo e 200 milioni di euro, per il prossimo 4 miliardi. Naturalmente l’idea è di pescare dal Recovery plan dell’Unione europea. Tra l’altro il miliardo del pacchetto Sud viene recuperato facendo saltare il bonus ristoranti proposto dai 5 Stelle.

Quello che non si capisce è come mai la proposta del Governo riguardi solo il Sud, visto che il Covid ha picchiato duro soprattutto nel Nord del Paese. Lo dice la Banca d’Italia. È soprattutto in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia che il contagio ha affondato il turismo e la manifattura, congelato consumi interni ed export. La fotografia scattata da Via Nazionale ci restituisce un’immagine molto simile a uno tsunami, un’onda anomala e violentissima che al Nord ha avuto un impatto fortissimo sul mercato del lavoro e messo alle corde le finanze locali, soprattutto nelle zone dove l’epidemia ha fatto aumentare in maniera significativa la spesa sanitaria.

In Piemonte la contrazione è superiore alla media nazionale, in Liguria è stato colpito dalla crisi ben l’85% delle imprese (industria e servizi) con meno di 20 addetti mentre in Lombardia la Cig è aumentata di 20 volte (20 volte!) rispetto al 2019. Secondo un’indagine dell’Osservatorio del Centro studi del Cnca nella nostra regione il livello del Pil tornerà indietro di due decenni. La stima del fatturato delle imprese compromesso a causa dell’emergenza nel periodo tra il 12 marzo e il 14 giugno in Lombardia è di circa 49 miliardi di euro di cui 24 solo nel commercio e turismo e 16 nel manifatturiero. Secondo la ricerca il Pil nel 2020 farà segnare una contrazione più ampia rispetto a quella del 2008 (l’anno dell’inizio della Grande Crisi) e con tutta probabilità nelle tre regioni la flessione supererà ampiamente i 9 punti percentuali. A risentirne pesantemente da quanto emerge dalla ricerca sarà anche l’export con «il rischio di un calo sul 2019 di 25 miliardi di euro».

Ma al Governo evidentemente la Lombardia, che ha un residuo fiscale ad appannaggio del resto del Paese di 54 miliardi e che fa da volano al resto d’Italia con la sua produzione, non interessa: sembra che non sia successo niente e che prevalga il vecchio disco rotto delle politiche che profumano di assistenzialismo e di antiche logiche parassitarie. E il dubbio è che siamo solo all’inizio: poiché l’assalto alla diligenza dei 200 e passa miliardi del Recovery Fund non è ancora iniziato.

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