Covid, ritrovare
la coesione sociale

Vivere nella precarietà, tra il pericolo di contrarre una malattia che non ha vaccini curativi e la libertà limitata, è una condizione nota in Paesi del Sud del mondo. Per noi occidentali invece è una novità che non avremmo mai immaginato di provare solo un anno fa. La prima ondata di Covid ci ha travolto come uno tsunami, soprattutto noi bergamaschi: abbiamo pagato un tributo in termini di vite umane altissimo. Nelle zone più colpite in primavera la solidarietà e la coesione sociale sono state due pratiche decisive per attenuare gli effetti generati dal coronavirus, anche se già allora erano sorte polemiche sul funzionamento del sistema sanitario. Secondo un sondaggio condotto da Ipsos, il 62% degli italiani giudicava positivo il decreto governativo che rese zona rossa tutta l’Italia, anche i territori con pochissimi contagi.

La seconda ondata, ipotizzata dagli esperti già durante la prima, ha invece incrinato la coesione sociale, siamo passati dal «noi» all’«io» come ha detto il governatore del Veneto: «Il Covid - ha rilevato Luca Zaia - non sembra più un problema della comunità ma del singolo che viene contagiato, del paziente che finisce ricoverato». I cittadini non si sono sentiti protetti dal ritorno prepotente del virus. Per onestà va detto che c’è chi ci ha messo del suo durante l’estate, dando per scontato che lo tsunami fosse alle spalle, contestando regole giudicate troppo restrittive e violandole, per scarso senso civico o quasi ad esorcizzare il male. Le ricordiamo le fotografie di spiagge e discoteche affollate di persone senza mascherina, o dei centri delle grandi città in preda alla ressa. Ancora ieri è accaduto a Roma, Napoli e in spiaggia a Palermo.

Il governo porta le sue responsabilità: ha predisposto un piano contro la seconda ondata ma ci sono state carenze nella messa in pratica. Si contesta il mancato rafforzamento del trasporto pubblico ma è un’iniziativa che richiede tempo. A incrinare la coesione sociale è stato anche il continuo contenzioso pubblico con le Regioni, nonostante due rappresentanti di queste ultime siedano nei tavoli decisionali ed esista la Conferenza Stato-Regioni come luogo di ricomposizione dei conflitti, oltre all’articolo 120 della Costituzione per il quale «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica». Oggi il 51% degli italiani (sempre secondo il sondaggio Ipsos) è contrario al decreto sulle zone differenziate, il 61% ritiene il virus non meno pericoloso rispetto a sei mesi fa ma ben il 21%, sbagliando, al contrario non ne è convinto.

In questa fase di seconda ondata abbiamo visto anche piazze di negazionisti, cavalcare il grave malessere di commercianti e ristoratori che rischiano di chiudere da parte di gruppi di estrema destra ed estrema sinistra sfasciando negozi (bella contraddizione). Chi invece tiene ancora vivo il senso del «noi» sono medici e infermieri sulla prima linea del Covid e i volontari tornati in azione. Non dobbiamo dimenticare poi che siamo in una bufera globale: tocca 185 Stati. Non è «mal comune mezzo gaudio» ma comprensione della potenza del virus.

La medicina contro il rancore non sono solo provvedimenti governativi o regionali giusti. «La solidarietà oggi - ha detto Papa Francesco - è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali e sociali. Non ce n’è un’altra: o andiamo avanti con la strada della solidarietà o le cose saranno peggiori. Voglio ripeterlo: da una crisi non si esce uguali a prima. Da una crisi si esce o migliori o peggiori, dobbiamo scegliere». Dobbiamo scegliere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA