Dare voce ai quartieri, reti sociali la giusta via

L’ANALISI. Dopo circa 15 anni dalla loro soppressione, per ragioni finanziarie, si prospetta un possibile ritorno delle circoscrizioni di decentramento per i Comuni sopra i 100mila abitanti. Le circoscrizioni, val la pena ricordarlo, erano organismi consultivi e di partecipazione, eletti dai cittadini su base di quartiere/i.

Della loro soppressione, invero, quasi nessuno si è lamentato e pochi si sono accorti. Perché, per la verità, come organismi di partecipazione le circoscrizioni hanno funzionato malissimo. Occupati dai partiti, che presentavano proprie liste pur essendo pressoché completamente assenti dai quartieri, questi organi comunali erano formati da personale scarsamente o per nulla radicato sul territorio, che conduceva - a livello di quartiere - una battaglia che, più che la partecipazione dei cittadini, aveva di mira l’appoggio - o il contrasto - al colore politico della Giunta cittadina o, più velleitariamente ancora, del Governo nazionale.

Cosa è cambiato da allora? La parabola involutiva dei partiti è, se possibile, ulteriormente peggiorata, sicché è azzardato immaginare che un organismo eletto su base di liste partitiche possa promuovere davvero la partecipazione dei cittadini nei quartieri. Tanto più che, a seguito della soppressione delle circoscrizioni, molti Comuni hanno intrapreso percorsi alternativi di valorizzazione della partecipazione che rischiano di essere interrotti, a detrimento dell’autonomia che costituzionalmente pertiene agli enti locali. A Bergamo, si è percorsa la via delle Reti sociali, organismi non rappresentativi, ma costruiti secondo la logica della «presenza», e cioè dell’«esserci» di cittadini attivi, associazioni e istituzioni nel tessuto comunitario del quartiere, al fine di elaborare risposte concrete o progettuali ai bisogni del quartiere stesso. L’esperienza delle Reti sociali presenta luci e ombre. In molti quartieri, esse hanno svolto un ruolo significativo di animazione culturale e assolto compiti di cura. Dove hanno obiettivamente fallito è stato sul piano della dialettica politico-urbanistica. Le Reti sociali sono infatti rimaste emarginate dalle scelte amministrative di sviluppo e trasformazione dei quartieri, sicché ai cittadini è mancato un referente istituzionale con cui aprire una dialettica anche critica rispetto ai progetti del Comune.

Questa sterilizzazione politica delle Reti si è tradotta nell’esclusione, di fatto, dei Comitati di quartiere e cioè di quelle realtà spontanee costituitesi, spesso proprio in risposta a specifici interventi urbanistici, per contestare o discutere le scelte del Comune o di interessi economici proprietari. In questo modo, le Reti sono diventate la veste istituzionale di una partecipazione collaborativa, certamente virtuosa, ma parziale, mentre la necessaria dialettica, anche vivacemente oppositiva, sui temi urbanistici e della viabilità non ha trovato in quella sede un luogo di mediazione istituzionale ed è stata casomai assunta dai Comitati di quartiere.

L’errore è stato quello di aver contrapposto una partecipazione collaborativa («buona») ad una oppositiva, come se le istituzioni non avessero anche, se non soprattutto, la funzione di mettere in forma il conflitto, in modo che questo possa trovare nello spazio pubblico un luogo attrezzato per il confronto delle posizioni e delle ragioni e per la ricerca di una mediazione. L’esclusione della componente conflittuale espone al rischio della strumentalizzazione della partecipazione, riconosciuta solo finché reputata docile e funzionale ai disegni della maggioranza comunale. Non c’è niente di più disincentivante per la partecipazione del sospetto della sua strumentalizzazione.

Se la diagnosi è corretta, la cura di questi limiti non può essere il ripristino delle circoscrizioni partitiche, utili solo a distribuire posti e magari una rendita a qualche esponente locale di partito; bensì il potenziamento del coinvolgimento politico-urbanistico delle Reti sociali di quartiere, perché esse siano un luogo di rigenerazione della democrazia, intesa come assunzione di corresponsabilità dei cittadini, singoli e associati, verso la convivenza.

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